Il “grande amore” che da sempre lega Pier Luigi Pizzi a Gioachino Rossini, come sottolineato dallo stesso Pizzi in occasione della presentazione di questa ripresa del “Tancredi”, ha portato il regista a essere indiscusso protagonista della Rossini Renaissance nell’ultimo quarto del XX° secolo, attraverso allestimenti di portata storica che ancora oggi continuano a ricevere il plauso del pubblico e della critica. In particolare, i tre “Tancredi” creati per il Rossini Opera Festival di Pesaro tra il 1982 e il 1999 consentono una disamina dell’evoluzione dell’artista che, partendo dall’interesse per le macchine barocche e dalla cura dei particolari storico-architettonici, nel 1982 crea una prima messa in scena goticheggiante, ricca di chiaroscuri evidenziati dal riflesso aureo dei meticolosi dettagli, a proposito della quale il Celletti scrive “… il miglior allestimento e la migliore regia in senso assoluto del “Tancredi”, pietra miliare dell’odierna Rossini Renaissance”. Diciassette anni più tardi, la sensibilità del regista si volge all’essenziale, anzi strizza l’occhio al metafisico o più precisamente al metastorico, creando una drammaturgia quasi atemporale pur senza rinunciare a un’immediata narratività. L’allestimento del 1999, ripreso a Pesaro nel 2004 e ora approdato a Bari, si caratterizza dunque per un neoclassicismo che nel candore marmoreo dei suoi bassorilievi echeggia sì la Magna Grecia ma anche i paesaggi metafisici di De Chirico (compresa la statua equestre che ricorda quella de “La torre rossa”), una Siracusa stilizzata in cui il simmetrico dualismo tra colonne e pilastri replica l’opposizione tra i membri delle due famiglie rivali,indiscutibilmente bianchi o neri come gli elementi di una scacchiera, tra i quali il colore rosso di Tancredi e dei suoi compagni penetra come una ferita sanguinante, come l’amore che scompagina l’equilibrio preesistente. Il tutto reso in maniera ancor più plastica dal sapiente gioco di luci ideato da Massimo Gasparon. Il ricorso al delicato ed estenuante finale tragico (composto da Rossini in occasione della ripresa dell’opera al teatro Comunale di Ferrara il 21 marzo 1813) al posto del più ortodosso finale lieto, ha posto la morte del protagonista quale dulcis in fundo di questo allestimento intimista e malinconico, secondo le intenzioni di Pier Luigi Pizzi espresse nelle sue note di regia: ”Scena spogliata, recitazione essenziale, spazi della memoria malinconici e solenni, costumi austeri atemporali, finale tragico. L’opera denudata, toccante e sublime”.
LA GIOVANILE FRESCHEZZA
Vuoi per motivi anagrafici, vuoi per una precisa indicazione registica, la giovane mezzosoprano Cecilia Molinari ha vestito i panni en-travesti del protagonista, evidenziandone più la giovanile freschezza che il piglio eroico. Priva di quell’autorevolezza tipica di una Horne o di una Valentini, che con i loro affondi contraltili facevano tremare la platea, nondimeno la cantante ha esibito un fascinoso timbro vocale e una credibile presenza scenica, forte della sua preparazione in seno alla prestigiosa Accademia Rossiniana “Alberto Zedda” di Pesaro. Il soprano Valentina Farcas è stata un’intensa Amenaide grazie a una tecnica vocale irreprensibile sia nelle agilità sia nei momenti più lirici, associata a un appropriato phisique-du-role. Il tenore Michele Angelini, anch’egli giovane promessa fiorita nell’Accademia “Alberto Zedda”, ha interpretato il ruolo di Argirio sfoderando un formidabile colore vocale che nella zona acuta ricordava il giovane Florez, nonché variazioni e virtuosismi in perfetto stile rossiniano, insomma una gioia per le orecchie degli ascoltatori, sebbene il giovanile aspetto, associato alla ridotta incisività nella zona grave, lo facessero sembrare più il fratello che non il padre di Amenaide. Il baritono Pietro Spagnoli, rinomato interprete del repertorio belcantistico, si è rivelato ancora una volta un autentico fuoriclasse vestendo i panni di Orbazzano con doviziosa espressività scenica e impagabile imponenza vocale, valorizzata dall’inserimento dell’aria “Alle voci della gloria” nel secondo atto. Vera rivelazione della serata è stato il sontuoso velluto vocale della soprano Alessia Nadin alle prese con il ruolo di Isaura: la sua accorata aria “Tu che i miseri conforti” all’inizio del secondo atto ha costituito uno dei momenti più intensi dell’intera opera. Anche la deliziosa arietta “Torni alfin ridente e bella” ha permesso al pubblico di apprezzare la bella voce del mezzosoprano Nozomi Kato nel ruolo en-travesti di Roggiero.
Dopo essere stato il più giovane direttore d’orchestra sul podio del Rossini Opera Festival in occasione del “Viaggio a Reims” nel 2006 e de “La scala di seta” nel 2011, il maestro José Miguel Pérez-Sierra ha diretto l’Orchestra del Petruzzelli in maniera sempre attenta alle ragioni del canto, facendo opportunamente risaltare le voci dei solisti, mantenendo tempi per lo più brillanti e sostenuti. Forse un attacco più lento dell’introduzione strumentale all’entrata di Tancredi avrebbe incrementato quel senso di nostalgico struggimento che dovrebbe accompagnare il ritorno dell’eroe.
L’impaccio delle armature metalliche non ha impedito al Coro del Petruzzelli, istruito da Fabrizio Cassi, di esibirsi anche stavolta in una lodevole performance scenico – vocale.
CAPODANNO IN MUSICA
Le repliche del “Tancredi” si protrarranno fino al 25 ottobre. A dicembre sarà la volta della celeberrima “Traviata” di Giuseppe Verdi nella messa in scena di Hugo De Ana, ultimo titolo operistico in programma dal 19 al 30 dicembre per la stagione 2018.
Le attività del Petruzzelli riprenderanno già nel giorno di Capodanno 2019 (alle ore 11,00 e alle ore 19,30) con lo spettacolo “Happy New Swing Year 2019. Souvenir d’Italie”: dopo il sold-out di Capodanno 2018, ritornerà anche quest’anno la Petruzzelli Swing Orchestra per una “cartolina musicale” a base di classici intramontabili, da cantare a squarciagola coinvolgendo il pubblico sulle note di Modugno, Gaber, Ellington, Carosone, Arigliano, Luttazzi e tanti altri."
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