“Ma quanto è bravo questo Libetta…Ti prende davvero per la…pancia !” commenta così, con il visibile entusiasmo tipico dell'appassionata neofita, Maddalena Tulanti, redattore capo della sede pugliese del Corriere del Mezzogiorno, seduta accanto a me durante l’atteso concerto di lunedì scorso al Teatro Piccinni di Bari del duo pianistico composto dal succitato Francesco Libetta, salentino doc e dal barese (nato peraltro a Galatone) Emanuele Arciuli. Commento colorito, ma indubbiamente efficace quello di Maddalena. Rende infatti ottimamente l’idea di ciò che è stato l’incontro musicale dell’altra sera con questi due autentici assi degli 88 tasti, già da tempo, si sa, proiettati nel selettivo olimpo dei grandi artisti contemporanei. E bene ha fatto la Camerata Musicale Barese, spesso rimproverata di “esterofilia”, ad offrire nella sua pur ricca e variegata stagione musicale quest’omaggio alla florida scuola pianistica pugliese, qui degnamente rappresentata da Emanuele e Francesco. Per chi li ha personalmente inseriti nel DEUMM dell’Utet, ascoltare le loro acrobazie digitali e, per contrasto, i loro poetici abbandoni, non è certo una sorpresa. Eppure, i concerti di Arciuli e Libetta, da soli o in coppia, destano sempre, oltre che sorprese, un notevole interesse. I programmi sono infatti studiati con l’intrigante finalità di impegnare il pubblico in un ascolto ragionato e al contempo istintivo, per non dire rilassato. Il concerto aveva per giunta anche il suo bravo titolo o tema se preferite: “Esot(er)ismi per 2 pianoforti”. Si partiva con un omaggio a Schumann, compositore se vogliamo più esoterico che esotico, con l’Andante e Variazioni op.46. Pagina quest'ultima non tra le più eseguite nei concerti, con quella sua cantabilità (quasi) dissimulata sotto un velo di algido rigore contrappuntistico. A seguire poi la celeberrima e ben più eccitante "Rhapsody in Blu" di Gershwin, riletta nella meno nota versione per due pianoforti e che ha letteralmente scatenato le ovazioni del folto pubblico presente: una lettura di strepitoso nitore, giocata com'era sulla riconosciuta abilità virtuosistica di Libetta e, allo stesso tempo, perfettamente integrata dal magico background di sensuali morbidezze timbriche e agogiche offerto da Arciuli "nel ruolo - come lui stesso ha precisato - dell’ orchestra". A completare la serata, c’erano oltre ad una scoppiettante esecuzione di "Scaramouche" di Darius Milhaud musicisti dei nostri giorni, come "Metamorfosi" (1995) dell’accorsatissimo, almeno di questi tempi, Ludovico Einaudi, "Coro", tratto dall’opera Genesi del mistico Franco Battiato e infine...apoteosi con "La Valse" di Ravel. Mancava purtroppo per un problema tecnico "Otherwordly Resonances" del compositore americano George Crumb (2003) che sarebbe stato in prima esecuzione italiana. La scintillante, ma anche meditatissima, interpretazione de La Valse ha “costretto” - però ben volentieri - i nostri eroi agli...straordinari. Ed ecco altre pagine assai godibili di Poulenc e Bormioli. Successo davvero caloroso e meritato. A quando, cari Emanuele e Francesco, un bel cd ensemble (possibilmente live) delle vostre emozionanti performances?
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