Suoni e visioni, dentro e intorno all’acqua, per l’avvio a Bari, domenica 1 ottobre, del festival Anima Mea diretto da Gioacchino De Padova (nella foto) nella Rete di musica d’arte Orfeo Futuro, in programma sino al 10 novembre con dodici progetti per un confronto tra musiche antiche o nuovissime, lontane nel tempo ma vicine nello spirito.
L’acqua diventa strumento nelle mani degli spettatori nell’installazione multimodale interattiva «L’acqua non è suono», visitabile domenica 1 e lunedì 2 ottobre (ore 19, ingresso libero), nel Salone della Città Metropolitana, dove da domenica 1 ottobre a sabato 7 ottobre (ore 10-19, ingresso libero) è in calendario la mostra «L’isola che non c’è» che il musicista e fotografo Andrea Pandolfo dedica a Trieste, città multietnica e di confine circondata da un ampio “mare”.
Acqua da accarezzare, toccare, regolare, per produrre suono attraverso algoritmi generati da un computer e diffusi da un sistema quadrifonico: funziona così l’installazione multimodale interattiva ideata da Giuseppe Bergamino, Marco Cucciniello, Giuseppe Imbimbo e Armando Santaniello in collaborazione con Alba Battista del Conservatorio di Musica Domenico Cimarosa di Avellino. Una vasca, quattro gocciolatoi e quattro piastre di diverso materiale formano l’impianto, che tesse un ambito sonoro per esaltare la qualità liquida dell’acqua. Acqua che non ha suoni che le appartengono, perché sono tutti indotti e prodotti da elementi estranei.
E idealmente circondata dall’acqua è Trieste, l’Isola che non c’è negli scatti di Andrea Pandolfo, racconto di una città di frontiera sostanzialmente ignorata e misconosciuta dall'Italia continentale, dal regno, come ancora qualcuno la chiama. Nel personale sguardo di Pandolfo, la multietnica Trieste è - per l’appunto - un’isola, un’isola che non c'è. Perché non c'è geograficamente, nella consapevolezza delle persone che la vivono e nell’assenza di consapevolezza delle persone che ne hanno semplicemente sentito parlare. È una città che si basta a se stessa con le indicazioni stradali esclusivamente in italiano ma abitata da gente che, oltre all’italiano, parla sloveno, croato, serbo, greco, inglese e altre mille lingue. E Pandolfo restituisce l’immagine di un luogo accogliente e di gente che vorrebbe attraversare l’ampio “mare” che la circonda. Per vedere il mondo laggiù, con desiderio e difficoltà.
Preceduto dal prologo con Peppe Barra e Marina Bruno, e dopo la doppia inaugurazione tra suoni e immagini di domenica, il Festival Anima Mea, prevede sino al 10 novembre, dodici diversi progetti musicali, per un totale di ventiquattro concerti in sei Comuni (Bari, Monopoli, Altamura, Molfetta, Ruvo di Puglia e San Severo) e uno Stage di Belcanto. Ci saranno molte novità, ma ferme rimangono le linee di ricerca del festival, che quest’anno sarà attraversato, tra le tante, da musiche di Bach, Satie, Händel, Rossini, Mario Castelnuovo-Tedesco e, ancora, degli autori pugliesi che scrissero per il salterio, l’aristocratico strumento dal suono soave. Tra gli interpreti, Annamaria Bellocchio (soprano), l’ensemble di strumenti antichi di Alessandro Ciccolini (violino), la Cappella Corradiana diretta da Antonio Magarelli, i virtuosi del fagotto Giovanni Battista Graziadio e Alessandro Nasello, i fratelli Pandolfo, Andrea (tromba, flicorno, voce recitante e canto) e Paolo (viola da gamba e voce recitante) con Michelangelo Rinaldi (fisarmonica, pianoforte e piano giocattolo), l’Ensemble Meridies, Paola Crema (soprano) e Teresa Iervolino (mezzosoprano), Massimo Felici (chitarra), la cantante e performer Gaia Mattiuzzi, Gioacchino Visaggi (violino barocco), Antonella Parisi (viola da gamba), Davor Krklius (clavicembalo) e l’Ensemble Boito.
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