Ferrara Musica dal 26 al 30 marzo ha potuto contare su una squadra di artisti-ospiti straordinari. Quattro giorni di prove (chiuse al pubblico) hanno visto nel Teatro Comunale della città emiliana nell’ordine: Kolja Blacher, Martha Argerich, la Mahler Chamber Orchestra, diretta da Claudio Abbado. Il programma del concerto aveva inizialmente previsto solo Blacher in veste di solista nella prima parte; d’altro canto, la Argerich si trovava in debito con i ferraresi (l’anno scorso per motivi di salute era stato infatti cancellato il concerto ferrarese) ma aveva anche promesso che sarebbe tornata l’anno seguente. Promessa mantenuta. Vecchi amici da sempre, per loro – alludiamo naturalmente ad Abbado e Argerich - suonare insieme è sempre motivo di gioia. Questa volta però, l’occasione era straordinaria: hanno scelto, infatti, il Concerto n. 3 in do maggiore op. 26 di Sergei Prokofiev; sì proprio quello stesso meraviglioso concerto che suonarono insieme ai Berliner Philharmoniker in quel lontano 1967, lo stesso anno che lo incisero poi per la Deutsche Grammophon. Quarant’ anni dopo, eccoli dunque di nuovo con lo stesso concerto, ma con una maturità, dopo ben quarant’anni, ancor più straordinaria. La prima parte del concerto oltre al 3° Concerto di Prokofiev aveva in programma il Concerto per violino e orchestra di strumenti a fiato op. 12 di Kurt Weill al violino il celebre solista Kolja Blacher, già in un recente passato “spalla” dei Berliner Philharmoniker e adesso nello stesso ruolo alla Lucerne Festival Orchestra. Nella seconda parte, Abbado ha diretto infine la Sinfonia n. 6 in fa maggiore op. 68 di Beethoven. Il teatro era affollato (a questo punto viene voglia di domandarsi quante di quelle persone dentro il Teatro Comunale di Ferrara erano davvero venute per la Musica e quante invece solo per farsi vedere in sala con dei personaggi famosi?), anche se i biglietti non costavano poco: è vergognoso infatti che il teatro ferrarese per un ingresso in loggione chieda 25 euro. Nel programma di sala era poi inserito un foglio, dove il Maestro Abbado aveva deciso di dedicare il concerto alla memoria di Laura Dubini, la giornalista del Corriere della Sera scomparsa pochi giorni prima, cara amica di Abbado; una persona oltretutto con cui il maestro condivideva non solo la passione per la musica, ma anche le terribili sofferenze per il tumore che li aveva entrambi colpiti. Laura purtroppo non ce l’ha fatta. Il Concerto di Weill ha aperto la serata. Un brano eseguito di rado e con un organico particolare (due flauti, oboe, due clarinetti, due fagotti, due corni, tromba, timpani, xilofono, percussioni e contrabbasso), nel quale il ruolo importante dei fiati anticipa il colore sonoro dei brani posteriori del compositore berlinese. Blacher ha saputo tirar fuori tutta l’espressività necessaria in questo dialogo tra lui e l’orchestra con un virtuosismo libero, ma domato, proprio quanto ci vuole per non esagerare. Un discorso carico di espressionismo con un forte “odore” di Stravinski, ove (per un esito decente, per non parlare di qualcosa in più) l’ascolto reciproco e molto attento tra tutti gli esecutori in scena è assolutamente indispensabile e a Ferrara gli “interlocutori” si sono dimostrati più che adatti al ruolo. E’ arrivata poi la volta di Prokofiev, con Argerich e Abbado in piena forma (tornato da Caracas solo 2 giorni prima delle prove). Teatro in attesa. Un’emozione quasi indescrivibile. Il brano diventato quasi un culto, nelle mani della Argerich è sempre stato una sorta di evento. Con Abbado, si sa, ci si può sempre aspettare di tutto. Prima del concerto abbiamo ascoltato quel disco del 1967 lodato dappertutto ancor oggi, per cogliere meglio la più che probabile differenza e i pensieri artistici. Ed è successo qualcosa di straordinario. Come se fosse la prima volta, come se fossero di nuovo ragazzini dell’età degli orchestrali dell’eccezionale M.C.O. Risultato: incantarono tutti, cominciando dall’ orchestra; Argerich e Abbado, fecero una festa tutta loro, fra una marea di sorrisi e un fuoco incandescente di idee e energia che non calava mai. Lo “tsunami” Argerich si trovava in una sintonia mirabile con Abbado e orchestra, mostrando fino in fondo il significato di suonare insieme e suonare per la Musica. Martha Argerich quella sera ha superato se stessa, lasciandosi andare completamente, con una gamma dinamica incredibile, sia musicale che personale. Con il teatro scattato in piedi all’ultimo suono del concerto, la celebre pianista, forse ancora sotto la fortissima impressione del brano appena terminato, ha regalato al pubblico una Mazurka di Chopin come bis, invece di una delle sue solite terribili esecuzioni delle sonate di Scarlatti. Dopo l’intervallo, rimasti sul palco solo l’orchestra e Abbado, hanno eseguito la celebre Sinfonia “Pastorale” di Beethoven, un capolavoro tanto lodato e tante volte anche rovinato. Dopo il celebre ciclo beethoveniano fatto a Roma e Vienna nel 2001 con i Berliner Philarmoniker che aveva superato di molto il ciclo registrato per la Deutsche Grammophon, era difficile credere di poter sentire ancora qualcosa di più rivoluzionario. Tutti i presenti al teatro erano pronti per tutto salvo per quello che poi è successo. Elettrizzati dalla visione abbadiana i giovani orchestrali della Mahler, seguivano quasi come un’onda il corpo del direttore trasformatosi egli stesso in…Musica; le sue mani non sembravano più mani, ma pennelli da cui uscivano mille colori per un quadro di pura gioia di vivere. Che Pastorale incredibile! Con una tendenza quasi cameristica, anche nella fedeltà all’organico originale beethoveniano, Abbado, che non smette mai di studiare una partitura, ha conferito a questo capolavoro, talora così abusato e “soffocato”, una libertà, un’aria di freschezza, leggerezza di respiro e di movimento uniche, pur rimanendo sempre all’interno della struttura musicale. E’ stata insomma una lettura moderna ma allo stesso tempo puramente beethoveniana e concordata con il dettato della partitura fino a far sentire anche quei colori barocchi che si perdono così facilmente in un organico esagerato, o peggio, con una lettura sbrigativa e superficiale. Il pubblico, almeno quello che se ne intende, era letteralmente a bocca aperta. Si parlerà a lungo di questo concerto. Sarà pubblicato anche un disco, per far sentire anche agli altri la magia dei suoni di una sera ferrarese del tutto particolare, in cui i dischi sentiti prima del concerto diventarono improvvisamente la "Notte Stellata" di Van Gogh in bianco e nero davanti ai colori inimitabili e indescrivibili dell’originale.
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