Alla Vallisa di Bari il cantore ebreo Prof. David Meghnagi e i musicisti arabi Saleh Tawil e Mohamed Abdalla canteranno ed eseguiranno insieme musiche della tradizione libica. Ecco di seguito una riflessione del maestro Francesco Lotoro, curatore del ciclo di concerti organizzato dalla Camerata Musicale Barese. "La convivenza tra Ebrei e Arabi nei Paesi di cultura, tradizione e religione islamica non è mai stata facile. Nella antica, tradizionale visione dell’Islam gli Ebrei avevano diritto di protezione ma non uguaglianza giuridica. Nella Libia coloniale italiana ci pensò il regime fascista a complicare la situazione degli Ebrei di Tripoli e Bengasi. Nel piano di italianizzazione forzata di usi e costumi nelle colonie, il governatore Italo Balbo impose agli Ebrei libici l’apertura dei negozi nel giorno di Sabato, pena la frustazione nelle pubbliche piazze. A causa delle leggi razziali italiane, gli Ebrei libici furono cacciati da scuole e amministrazioni pubbliche, persino interdetti gli autobus.
L’arrivo delle truppe inglesi in Tripolitania e Cirenaica (Gennaio 1943) e della Brigata Ebraica incorporata nell’8a Armata britannica rasserenò il clima e accese gli entusiasmi degli Ebrei libici, quasi tutti di lingua italiana. Le notizie degli stermini di Ebrei in Campi nazisti erano ancora vaghe e imprecise nella Libia del ’43 (anche se circa 300 Ebrei libici con passaporto britannico furono già deportati dai tedeschi durante la campagna africana). Nacquero circoli sportivi di Maccabi, gruppi di scouts degli Zofim e associazioni giovanili di Hechalutz.
Tuttavia lo scenario postbellico riservò un’amara sorpresa agli Ebrei di Libia. Il fantasma del “complotto sionista” agitò le masse arabe, l’odio antisraeliano cominciò a serpeggiare in tutti i Paesi nordafricani, notizie di disordini e pogrom antiebraici provenivano dal Cairo e Alessandria d’Egitto, gruppi nazionalisti arabi segnavano con il gesso negozi e abitazioni ebraiche. L’esercito britannico interveniva spesso a disordini terminati, cerimonie–farsa di riconciliazione tra autorità libiche e comunità ebraiche locali si alternavano a scontri frontali (talora con coltelli e pistole) all’ingresso dei quartieri ebraici di Tripoli e Bengasi. Il nascente Stato d’Israele coagulò nazionalismo arabo, antisionismo e spinte anticolonialiste del Medio Oriente.
L’indipendenza libica coincise con la fase più buia degli Ebrei di Libia: preclusione di impiego nell’amministrazione pubblica, controllo dei beni ebraici e confisca di immobili inasprirono le tensioni. Agli Ebrei libici era interdetto il business dell’industria petrolifera mentre i servizi postali con Israele erano interrotti e il nome stesso di Israele risultava cancellato dalle mappe geografiche scolastiche; sino all’umiliazione subita dai commerciati ebrei obbligati a versare un contributo in denaro alla Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), il cui scopo dichiarato era la distruzione dello Stato d’Israele.
Tutto ciò non impediva la crescita culturale, artistica, musicale e religiosa degli Ebrei di Put (l’antico nome ebraico della Libia). Frequentatissimi erano gli studi di Talmud e Zohar, le sinagoghe tripoline erano stracolme nei giorni di festa e risuonavano di canti nei quali l’ebraico si mescolava al makam della musica araba. Per le strade di Tripoli capitava di sentirsi domandare “Chif halk?” (in arabo tripolino: come stai?) e sentirsi indifferentemente rispondere in arabo e in ebraico “Hamdu L’lla” o “Baruch ‘Shem” (bene, grazie a Dio).
Il 5 giugno 1967 scoppiò la Guerra che sarà ricordata come quella dei Sei Giorni. Terrore di pogrom e notizie di numerosi eserciti arabi che accerchiavano lo Stato ebraico chiusero nel silenzio e nell’angoscia gli Ebrei libici. In alcune sinagoghe fu proclamato il digiuno, Radio Cairo annunciava che Tel Aviv e Haifa erano appena state distrutte (notizie false ma utili alla propaganda). A nulla valse un telegramma di solidarietà della comunità ebraica libica al re Idris nel quale ci si dichiarava neutrali e fedeli alla persona del re.
Tuttavia, l’iniziale entusiasmo panarabista cedette gradualmente il posto a un senso generale di panico: l’esercito israeliano sconfiggeva uno dopo l’altro quelli arabi, i carri armati israeliani scorazzavano nel Sinai e sul Golan, correva voce che l’aviazione israeliana si accingesse a bombardare la Libia. Nell’immaginario collettivo Israele era invincibile e pronto a ripagare con la stessa moneta le efferatezze compiute contro la popolazione ebraica indifesa.
La vittoria d’Israele portò allo scontro finale di Ebrei e Arabi di Libia. Masse di contadini (i quali avevano fornito la maggior parte dei volontari nella guerra contro Israele) marciarono su Tripoli con l’intenzione di cacciare tutti gli Ebrei dalla città. Alcuni Ebrei tripolini commisero l’imprudenza di riaprire i propri negozi e furono linciati, alcune donne ebree che indossarono il velo arabo per recarsi al mercato a procurarsi del pane furono tradite dall’accento e uccise sul posto.
Gli Ebrei di Libia bussarono all’Italia; dopo lunghe ed estenuanti trattative il governo libico decise di rilasciare un visto turistico di 3 mesi agli Ebrei che ne avessero fatto richiesta. L’esodo degli Ebrei libici fu organizzato mediante voli aerei per Roma. Il resto è storia dei nostri giorni.
David Meghnagi, nato a Tripoli nel 1949, aveva 18 anni quando scoppiò la Guerra dei Sei Giorni e ben ricorda il trauma dei suoi familiari e i giorni concitati dell’esodo verso l’Italia. Oggi insegna Psicologia Clinica all’Università di Roma Tre ed è coordinatore del Master Internazionale in Didattica della Shoah presso la stessa Università. Meghnagi è tra i più importanti fautori della conservazione della Hazanuth ossia il patrimonio musicale e vocale degli Ebrei di Libia e dei Paesi arabi mediterranei; lui stesso era un’eccellente Hazan in una delle numerose sinagoghe di Tripoli.
Il canto degli Ebrei di Libia è di raro fascino, intriso della memoria dell’esilio, capace di “confondere” piacevolmente canto ebraico e melos arabo.
Quest’anno cade il 40esimo anniversario non solo della Guerra arabo–ebraica del ’67 ma anche della cacciata degli Ebrei di Libia a seguito di tale guerra. Il panorama internazionale e lo scacchiere mediorientale sono profondamente mutati; occorre ricucire, uno strappo alla volta. Oggi tocca allo strappo libico e la musica può costituire quel filo dorato capace di ricomporre ciò che si dava ormai definitivamente lacerato. 2 anni fa il figlio del premier libico Gheddafi disse che occorre mostrare rispetto per il popolo della Shoah, uno studioso arabo ha aperto un sito molto ben documentato sull’Olocausto e il sito in lingua persiana dello Yad Vashem è visitato ogni settimana da migliaia di studenti iraniani. La pace non può prescindere dalla verità storica.
Martedì 19 Giugno alle 20,45 presso l’Auditorium La Vallisa di Bari, a conclusione del ciclo “Lunga vita alla vita” a cura della Camerata Musicale Barese, David Meghnagi canterà le musiche degli Ebrei di Libia accompagnato all’oud (strumento cordofono in legno della tradizione araba) dal siriano Saleh Tawil (nato a Homs e apprezzato virtuoso di oud) e al flauto dall’egiziano Mohamed Abdalla (nato ad Alessandria d’Egitto).
La Musica può giungere laddove la Storia non è stata capace di arrivare, avvicinare popoli che per secoli hanno condiviso il medesimo patrimonio di cultura e civiltà mediterranea e tradizione abramitica e che gli eventi umani hanno non solo diviso ma anche messo l’un contro l’altro.
Come recita un antico detto ebraico,“chi vive in un’isola deve farsi amico il mare”. Dialogo e amicizia tra Ebrei e Arabi, rispettivamente isola e mare del Medio Oriente (nel senso demografico, territoriale e degli equilibri socio–politici), non sono soltanto necessari: sono inevitabili, irrinunciabili. E un concerto di musiche tripoline eseguite da un cantore ebreo e due strumentisti arabi può essere un buon inizio. Il concerto di martedì 19 giugno si chiama “Shiru Shir”: cantami un canto. Che sia il canto della pace?" Francesco Lotoro
(pianista e curatore del ciclo musicale “Lunga vita alla Vita”)
L’arrivo delle truppe inglesi in Tripolitania e Cirenaica (Gennaio 1943) e della Brigata Ebraica incorporata nell’8a Armata britannica rasserenò il clima e accese gli entusiasmi degli Ebrei libici, quasi tutti di lingua italiana. Le notizie degli stermini di Ebrei in Campi nazisti erano ancora vaghe e imprecise nella Libia del ’43 (anche se circa 300 Ebrei libici con passaporto britannico furono già deportati dai tedeschi durante la campagna africana). Nacquero circoli sportivi di Maccabi, gruppi di scouts degli Zofim e associazioni giovanili di Hechalutz.
Tuttavia lo scenario postbellico riservò un’amara sorpresa agli Ebrei di Libia. Il fantasma del “complotto sionista” agitò le masse arabe, l’odio antisraeliano cominciò a serpeggiare in tutti i Paesi nordafricani, notizie di disordini e pogrom antiebraici provenivano dal Cairo e Alessandria d’Egitto, gruppi nazionalisti arabi segnavano con il gesso negozi e abitazioni ebraiche. L’esercito britannico interveniva spesso a disordini terminati, cerimonie–farsa di riconciliazione tra autorità libiche e comunità ebraiche locali si alternavano a scontri frontali (talora con coltelli e pistole) all’ingresso dei quartieri ebraici di Tripoli e Bengasi. Il nascente Stato d’Israele coagulò nazionalismo arabo, antisionismo e spinte anticolonialiste del Medio Oriente.
L’indipendenza libica coincise con la fase più buia degli Ebrei di Libia: preclusione di impiego nell’amministrazione pubblica, controllo dei beni ebraici e confisca di immobili inasprirono le tensioni. Agli Ebrei libici era interdetto il business dell’industria petrolifera mentre i servizi postali con Israele erano interrotti e il nome stesso di Israele risultava cancellato dalle mappe geografiche scolastiche; sino all’umiliazione subita dai commerciati ebrei obbligati a versare un contributo in denaro alla Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), il cui scopo dichiarato era la distruzione dello Stato d’Israele.
Tutto ciò non impediva la crescita culturale, artistica, musicale e religiosa degli Ebrei di Put (l’antico nome ebraico della Libia). Frequentatissimi erano gli studi di Talmud e Zohar, le sinagoghe tripoline erano stracolme nei giorni di festa e risuonavano di canti nei quali l’ebraico si mescolava al makam della musica araba. Per le strade di Tripoli capitava di sentirsi domandare “Chif halk?” (in arabo tripolino: come stai?) e sentirsi indifferentemente rispondere in arabo e in ebraico “Hamdu L’lla” o “Baruch ‘Shem” (bene, grazie a Dio).
Il 5 giugno 1967 scoppiò la Guerra che sarà ricordata come quella dei Sei Giorni. Terrore di pogrom e notizie di numerosi eserciti arabi che accerchiavano lo Stato ebraico chiusero nel silenzio e nell’angoscia gli Ebrei libici. In alcune sinagoghe fu proclamato il digiuno, Radio Cairo annunciava che Tel Aviv e Haifa erano appena state distrutte (notizie false ma utili alla propaganda). A nulla valse un telegramma di solidarietà della comunità ebraica libica al re Idris nel quale ci si dichiarava neutrali e fedeli alla persona del re.
Tuttavia, l’iniziale entusiasmo panarabista cedette gradualmente il posto a un senso generale di panico: l’esercito israeliano sconfiggeva uno dopo l’altro quelli arabi, i carri armati israeliani scorazzavano nel Sinai e sul Golan, correva voce che l’aviazione israeliana si accingesse a bombardare la Libia. Nell’immaginario collettivo Israele era invincibile e pronto a ripagare con la stessa moneta le efferatezze compiute contro la popolazione ebraica indifesa.
La vittoria d’Israele portò allo scontro finale di Ebrei e Arabi di Libia. Masse di contadini (i quali avevano fornito la maggior parte dei volontari nella guerra contro Israele) marciarono su Tripoli con l’intenzione di cacciare tutti gli Ebrei dalla città. Alcuni Ebrei tripolini commisero l’imprudenza di riaprire i propri negozi e furono linciati, alcune donne ebree che indossarono il velo arabo per recarsi al mercato a procurarsi del pane furono tradite dall’accento e uccise sul posto.
Gli Ebrei di Libia bussarono all’Italia; dopo lunghe ed estenuanti trattative il governo libico decise di rilasciare un visto turistico di 3 mesi agli Ebrei che ne avessero fatto richiesta. L’esodo degli Ebrei libici fu organizzato mediante voli aerei per Roma. Il resto è storia dei nostri giorni.
David Meghnagi, nato a Tripoli nel 1949, aveva 18 anni quando scoppiò la Guerra dei Sei Giorni e ben ricorda il trauma dei suoi familiari e i giorni concitati dell’esodo verso l’Italia. Oggi insegna Psicologia Clinica all’Università di Roma Tre ed è coordinatore del Master Internazionale in Didattica della Shoah presso la stessa Università. Meghnagi è tra i più importanti fautori della conservazione della Hazanuth ossia il patrimonio musicale e vocale degli Ebrei di Libia e dei Paesi arabi mediterranei; lui stesso era un’eccellente Hazan in una delle numerose sinagoghe di Tripoli.
Il canto degli Ebrei di Libia è di raro fascino, intriso della memoria dell’esilio, capace di “confondere” piacevolmente canto ebraico e melos arabo.
Quest’anno cade il 40esimo anniversario non solo della Guerra arabo–ebraica del ’67 ma anche della cacciata degli Ebrei di Libia a seguito di tale guerra. Il panorama internazionale e lo scacchiere mediorientale sono profondamente mutati; occorre ricucire, uno strappo alla volta. Oggi tocca allo strappo libico e la musica può costituire quel filo dorato capace di ricomporre ciò che si dava ormai definitivamente lacerato. 2 anni fa il figlio del premier libico Gheddafi disse che occorre mostrare rispetto per il popolo della Shoah, uno studioso arabo ha aperto un sito molto ben documentato sull’Olocausto e il sito in lingua persiana dello Yad Vashem è visitato ogni settimana da migliaia di studenti iraniani. La pace non può prescindere dalla verità storica.
Martedì 19 Giugno alle 20,45 presso l’Auditorium La Vallisa di Bari, a conclusione del ciclo “Lunga vita alla vita” a cura della Camerata Musicale Barese, David Meghnagi canterà le musiche degli Ebrei di Libia accompagnato all’oud (strumento cordofono in legno della tradizione araba) dal siriano Saleh Tawil (nato a Homs e apprezzato virtuoso di oud) e al flauto dall’egiziano Mohamed Abdalla (nato ad Alessandria d’Egitto).
La Musica può giungere laddove la Storia non è stata capace di arrivare, avvicinare popoli che per secoli hanno condiviso il medesimo patrimonio di cultura e civiltà mediterranea e tradizione abramitica e che gli eventi umani hanno non solo diviso ma anche messo l’un contro l’altro.
Come recita un antico detto ebraico,“chi vive in un’isola deve farsi amico il mare”. Dialogo e amicizia tra Ebrei e Arabi, rispettivamente isola e mare del Medio Oriente (nel senso demografico, territoriale e degli equilibri socio–politici), non sono soltanto necessari: sono inevitabili, irrinunciabili. E un concerto di musiche tripoline eseguite da un cantore ebreo e due strumentisti arabi può essere un buon inizio. Il concerto di martedì 19 giugno si chiama “Shiru Shir”: cantami un canto. Che sia il canto della pace?" Francesco Lotoro
(pianista e curatore del ciclo musicale “Lunga vita alla Vita”)
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