Ho ricevuto dalla prestigiosa casa discografica londinese Hyperion un interessantissimo compact disc di musica pianistica della “cosiddetta” Scuola di Vienna (“Sechs kleine klavierstücke” di Schoenberg, la Sonata op. 1 per pianoforte di Alban Berg e le Variazioni per pianoforte op. 27 di Anton Webern) unitamente ad una première discografica del compositore americano George Tsontakis (nella foto) dal titolo “Man of Sorrows” (Uomo dei Dolori) per pianoforte e orchestra (2005). Interpreti d’eccezione il celebre pianista inglese Stephen Hough e la Dallas Symphony Orchestra guidata dalla bacchetta di Andrew Litton.
Inizio parlandovi proprio del lavoro di Tsontakis, cinquantaseienne compositore di evidenti origini greche, che in questi ultimi anni è salito alla ribalta della musica contemporanea americana per una serie di accattivanti lavori pianistici e cameristici e l’assegnazione l’anno scorso dell’importante “The Charles Ives Living Award”. L’“Uomo dei Dolori” è un evidente omaggio alla figura di Gesù, al suo percorso esistenziale, alla sua Passione e alla sua Resurrezione.
Una sorta di imponente oratorio religioso in forma di poema sinfonico, diviso in sei movimenti di notevole impatto espressivo ed emozionale. Sin dalle prime battute sembrerebbe un lavoro "costruito" alla maniera di Bernstein (penso alla splendida Seconda sinfonia "Age of Anxiety", dove campeggia un pianoforte con propensioni decisamente solistiche), condito da reminiscenze impressionistiche e da un imprinting di ascendenza bartokiana. Il secondo movimento (Es muss sein(?) – Labyrinthus) mi ha infatti ricordato l’insostenibile tensione della celeberrima “Musica per archi percussioni e celesta” di Bartok. Poi proseguendo nell'ascolto, si ha la sensazione che in Tsontakis prevalga una ricerca più vicina alle poetiche dei giorni nostri. E non si può fare a meno di individuare in Messiaen - da un punto di vista più estetico che stilistico - e in Hindemith - per l'uso insistito della tecnica contrappuntistica - due degli apparenti modelli di riferimento di Tsontakis. Il lavoro è decisamente godibile, soprattutto nei primi tre movimenti, mentre nei restanti tre una certa prolissità tradisce - almeno in parte - la sorprendente bellezza del lavoro. Il pianista Stephen Hough insieme ad Andrew Litton, alla guida di un’eccellente orchestra come la Dallas Symphony, sono perfettamente a loro agio nel ricreare i colori, le sfumature e soprattutto l’esprìt, a tratti misticheggiante, della musica di Tsontakis.
Esemplari poi le interpretazioni che il pianista inglese offre dei lapidari lavori pianistici di Schoenberg, Berg e Webern, come dell’intrigante breve “Sarabesque” per piano solo dello stesso Tsontakis.
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