“Non basterebbe un intero volume per illustrare quale fenomeno straordinario di maturazione, spirituale e tecnica, avvenga in Verdi durante la lunga pausa di raccoglimento che precede ognuna delle sue due ultime opere: “Otello” e “Falstaff”. Maturazione e non trasformazione (…), infatti il vecchio Adamo resta sempre lì, presente nell’uomo nuovo e se ne riconoscono agevolmente i tratti, se pure con segno mutato, con altro significato ed altra espressione.” (Massimo Mila, “L’Arte di Verdi”, Einaudi ed. 1980). Porre in apertura ad una recensione su un allestimento del Falstaff, come quello andato in scena a Bari ieri sera, un’autorevole citazione come questa, non deve apparire fuorviante, ma deve altresì aiutare chi legge a comprendere il senso dell’ultima opera verdiana, sintesi sublime di una parabola creativa davvero straordinaria come quella del Genio di Busseto, dove tutto è superbamente ricapitolato dall’alto di una saggezza senile immensa.
La Fondazione Petruzzelli ne ha prodotto un allestimento importante, almeno sulla carta: un grande regista-musicista-musicologo come Roberto De Simone, un protagonista navigato e di riconosciuta fama internazionale come il basso Ruggero Raimondi, circondato da un buon cast vocale, un giovane e dotato direttore d’orchestra, Sebastian Lang-Lessing. Insomma, c’erano tutti, ma proprio tutti, gli ingredienti necessari per regalare al pubblico barese uno spettacolo indimenticabile. Ed invece così, almeno in parte, non è stato. Vuoi per l’epidemia influenzale devastante che ha messo a letto per alcuni giorni l’intera (o quasi) compagnia vocale, vuoi per le scelte, talune arbitrarie, di De Simone che hanno in me destato sorpresa, se non proprio stupore, soprattutto conoscendo il livello culturale del Maestro napoletano. Niente da dire sull’idea messa in pratica dallo scenografo Rubertelli di ricreare una struttura circolare, quale spazio allusivo tra il circo e il teatro elisabettiano. Del resto è Shakespeare la fonte del librettista Arrigo Boito e del compositore Verdi. Quello che non convince sono i riferimenti non contestualizzati ad un artista anglo-svizzero, a cavallo tra Sette e Ottocento, come Johann Heinrich Füssli per i pur belli e sgargianti costumi di Zaira De Vincentiis, gli inserimenti in palcoscenico di estemporanee gag clownesche citate da Totò e Charlie Chaplin, accanto ad ossessive quanto volgari allusioni falliche (dai grappoli di salsicce posti a mo’ di collana su Bardolfo alle esibizioni indescrivibili di spadini tra le gambe del Dottor Cajus e sacchi d’oro sventagliati ad altezza scroto dal “caro signor Fontana”), alle percussive tammurriate inventate e sonorizzate di sana pianta da De Simone nei cambi scena degli atti, ma che con Verdi francamente non c’entrano nulla. Tutto il resto ci può stare, è ben fatto e colorato e piace tanto, ma proprio tanto, al pubblico chic che affollava ieri sera la Prima al Teatro Piccinni. La direzione di Lang-Lessing è spigliata, leggera, lucida; solo che nei suoi tempi talora vertiginosi, i cantanti non sempre riescono ad andare a tempo tutti insieme. L’orchestra fa il suo con la consueta professionalità, salvo qualche sbandamento che ci può stare quando hai un golfo mistico inadeguato e almeno tre palchi adiacenti che ti servono per sistemare rispettivamente timpani, arpa, ottoni. Tutti aspettano l’imminente ritorno al Teatro Petruzzelli e lì sarà certo un’altra storia, per fortuna. Ma veniamo ai cantanti. Il grande Ruggero Raimondi, 67 anni portati splendidamente, parte maluccio e ahimè “raschia” subito un paio di acuti, ma poi per fortuna si riprende con raro mestiere. La sua è poi la recitazione di un cantante e di un attore di prim’ordine. La voce non sarà più quella d’un tempo, ma signori miei, c’è da togliersi il cappello di fronte alla classe cristallina, alla seducente naturalezza di questo straordinario artista. Degli altri, tutti più o meno malaticci o convalescenti, vi segnalo l’ottima prova di Paoletta Marrocu (Alice) e Luca Salsi (Ford), oltre al valido apporto, almeno scenico, della brava Elisabetta Fiorillo (Mr.s Quickly). Di egregio spessore anche i comprimari ed il coro della fondazione preparato dal maestro Franco Sebastiani. Sugli altri, non mi par proprio il caso di infierire. Riflessione finale: possibile che non si sia pensato di allertare possibili sostituti, visto che già da qualche giorno buona parte del cast era a letto “vittima di forti attacchi influenzali”, come ha detto testualmente la speaker del teatro Piccinni? Ho anche saputo che la prova generale di domenica scorsa, solitamente aperta ai ragazzi delle scuole, è stata addirittura blindata per i motivi anzidetti. E questo sì che è un vero, grande peccato. Quale occasione davvero unica di vedere ed ascoltare un Falstaff in teatro hanno perso questi giovani ?!
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