Domani alle ore 21.00 presso l’ Auditorium della Guardia di Finanza (Viale Europa – Bari) l’ Orchestra Sinfonica della Provincia di Bari, diretta dal maestro Vito Clemente (nella foto) e con solista la violoncellista rumena, Laura Buruiana, si esibirà in un concerto dedicato Antonin Dvorak (I biglietti sono in prevendita al Box Office della Feltrinelli “Libri e Musica” in Via Melo, 119 – Bari. Info: 080.5240464). La serata si apre con il Concerto in si minore per violoncello e orchestra op. 104 di Antonin Dvorak (1841 – 1904).
Dvorak giunse negli Stati Uniti nel 1892 per assumere la direzione del Conservatorio di New York, su invito della signora Jeanette M. Thurber, la moglie di un ricco droghiere il cui sogno era quello di favorire la nascita di una scuola compositiva americana. A quell’epoca, egli era già un compositore noto ed apprezzato anche oltre oceano ed in particolare era uno dei principali assertori delle cosiddette scuole nazionali. Per questo motivo, una volta giunto negli Stati Uniti, Dvorak indicò ai propri allievi la strada da percorrere: appunto quella di una recettività che non escludesse nessun genere di influenza musicale, fosse essa popolare e colta, provenisse dalla musica dei pellirosse o degli schiavi di colore. Anch’egli, del resto, dimostrò molto interesse per quelli che definiva i “canti di piantagione” e seppe impiegare proficuamente il periodo trascorso negli Stati Uniti per comporre alcune delle proprie pagine più suggestive. Al pari della celeberrima Sinfonia n. 9, anche il Concerto per violoncello, del 1895, appartiene al cosiddetto periodo “americano” di Dvorak. Sebbene l’autore intendesse dedicarlo al suo amico Hanus Wihan, violoncellista del Quartetto Boemo, ne ultimò la composizione negli Stati Uniti e, cosa ancora più singolare, lo diresse per la prima volta a Londra, nel 1896, con Leo Stern al violoncello. Il motivo è presto detto: Dvorak si era rifiutato categoricamente di inserire nella partitura la cadenza scritta da Wihan e la cosa aveva incrinato i loro rapporti.
Sarà, poi, la volta de “L’arcolaio d’oro” poema sinfonico op. 109 sempre di Dvorak. Quest’opera venne composta quasi contemporaneamente a “Vodianik” e “La strega di mezzogiorno”, fra il gennaio e l’aprile del 1896 con i quali condivise anche a la prima esecuzione, tenutasi a Praga il 3 giugno di quell’anno, sotto la direzione di Antonin Bennewitz. Ci troviamo di fronte a opere successive al periodo americano dell’autore, nelle quali l’elemento fantastico si fonde con il folklore della musica ceca. Così come per i due precedenti, anche l’Arcolaio d’oro trae ispirazione da una ballata del poeta ceco Jaromir Erben (1811 – 1890). Durante una battuta di caccia nella foresta, un re s’imbatte nella bella Dornicka, intenta a lavorare all’arcolaio. La ragazza viene presentata da un tema dolce e fascinoso del solo violino. Innamoratosi della ragazza, il re decide di sposarla, ma la matrigna di questa (che invece viene descritta da alcuni accordi aspri degli oboi) vorrebbe invece combinare il matrimonio con la propria figlia aturale. Così, con la complicità di quest’ultima, uccide Dornicka e , dopo averlo fatto a pezzi, ne occulta il corpo nella foresta. Il re si lascia convincere a sposare la sorellastra di Dornicka, ma subito dopo parte per la guerra. Durante la sua assenza, un mago, in cambio di un arcolaio d’oro, riesce a riportare in vita la bella Dornicka, cosicché, quando il monarca torna vittorioso dal conflitto, può finalmente coronare il suo sogno d’amore, non prima di aver fatto giustiziare le due donne crudeli. Malgrado la storia possa essere a tratti “cruda”, Dvorak ha saputo ammantarla di grazia ed eleganza grazia alla sua estrema raffinatezza nell’invenzione melodica e nella scelta della strumentazione.
Dvorak giunse negli Stati Uniti nel 1892 per assumere la direzione del Conservatorio di New York, su invito della signora Jeanette M. Thurber, la moglie di un ricco droghiere il cui sogno era quello di favorire la nascita di una scuola compositiva americana. A quell’epoca, egli era già un compositore noto ed apprezzato anche oltre oceano ed in particolare era uno dei principali assertori delle cosiddette scuole nazionali. Per questo motivo, una volta giunto negli Stati Uniti, Dvorak indicò ai propri allievi la strada da percorrere: appunto quella di una recettività che non escludesse nessun genere di influenza musicale, fosse essa popolare e colta, provenisse dalla musica dei pellirosse o degli schiavi di colore. Anch’egli, del resto, dimostrò molto interesse per quelli che definiva i “canti di piantagione” e seppe impiegare proficuamente il periodo trascorso negli Stati Uniti per comporre alcune delle proprie pagine più suggestive. Al pari della celeberrima Sinfonia n. 9, anche il Concerto per violoncello, del 1895, appartiene al cosiddetto periodo “americano” di Dvorak. Sebbene l’autore intendesse dedicarlo al suo amico Hanus Wihan, violoncellista del Quartetto Boemo, ne ultimò la composizione negli Stati Uniti e, cosa ancora più singolare, lo diresse per la prima volta a Londra, nel 1896, con Leo Stern al violoncello. Il motivo è presto detto: Dvorak si era rifiutato categoricamente di inserire nella partitura la cadenza scritta da Wihan e la cosa aveva incrinato i loro rapporti.
Sarà, poi, la volta de “L’arcolaio d’oro” poema sinfonico op. 109 sempre di Dvorak. Quest’opera venne composta quasi contemporaneamente a “Vodianik” e “La strega di mezzogiorno”, fra il gennaio e l’aprile del 1896 con i quali condivise anche a la prima esecuzione, tenutasi a Praga il 3 giugno di quell’anno, sotto la direzione di Antonin Bennewitz. Ci troviamo di fronte a opere successive al periodo americano dell’autore, nelle quali l’elemento fantastico si fonde con il folklore della musica ceca. Così come per i due precedenti, anche l’Arcolaio d’oro trae ispirazione da una ballata del poeta ceco Jaromir Erben (1811 – 1890). Durante una battuta di caccia nella foresta, un re s’imbatte nella bella Dornicka, intenta a lavorare all’arcolaio. La ragazza viene presentata da un tema dolce e fascinoso del solo violino. Innamoratosi della ragazza, il re decide di sposarla, ma la matrigna di questa (che invece viene descritta da alcuni accordi aspri degli oboi) vorrebbe invece combinare il matrimonio con la propria figlia aturale. Così, con la complicità di quest’ultima, uccide Dornicka e , dopo averlo fatto a pezzi, ne occulta il corpo nella foresta. Il re si lascia convincere a sposare la sorellastra di Dornicka, ma subito dopo parte per la guerra. Durante la sua assenza, un mago, in cambio di un arcolaio d’oro, riesce a riportare in vita la bella Dornicka, cosicché, quando il monarca torna vittorioso dal conflitto, può finalmente coronare il suo sogno d’amore, non prima di aver fatto giustiziare le due donne crudeli. Malgrado la storia possa essere a tratti “cruda”, Dvorak ha saputo ammantarla di grazia ed eleganza grazia alla sua estrema raffinatezza nell’invenzione melodica e nella scelta della strumentazione.
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