C’era da aspettarselo. Il concerto di ieri sera della prestigiosa Orchestra Philarmonia di Londra diretta dal Maestro finlandese Esa-Pekka Salonen, tenutosi in un Auditorium della Guardia di Finanza stipato di spettatori è stato davvero ciò che invece sempre più spesso (e inopinatamente) si indica con la parola “Evento”.
L’orchestra londinese ha infatti offerto sul campo un luminoso saggio di cosa significhi essere, a pieno titolo, una tra le prime dieci compagini sinfoniche europee.
L’orchestra londinese ha infatti offerto sul campo un luminoso saggio di cosa significhi essere, a pieno titolo, una tra le prime dieci compagini sinfoniche europee.
A Bari, grazie alla Fondazione Petruzzelli (unica istituzione pugliese a disporre delle risorse finanziarie per invitare tali “corazzate sonore”), negli ultimi anni abbiamo potuto ascoltare anche le altre due principali orchestre inglesi: la strepitosa London Symphony (nel dicembre del 2005) e la eccellente Royal Philarmonic (appena un anno fa). Anche in quelle occasioni tutti gli appassionati, abituati ad ascoltare soprattutto il “sound” delle orchestre di casa nostra, restarono sbalorditi di fronte a tale sublime perfezione.
Salonen e la Philarmonia hanno, va detto, “costruito” un programma per palati fini, dove il tema era il rapporto del mondo musicale con la natura e la danza. Ecco il perché di una scelta come quella dettata dalle “Cinq danses rituelles” di Andrè Jolivet, gli “Oiseaux Exotiques” di Olivier Messiaen e il “Sacre du Printemps” di Igor Stravinskij, quest’ultimo ormai mitico e insuperabile capolavoro del Novecento musicale.
Un’altra considerazione può essere quella che a suggerire una così seducente successione (peraltro cronologicamente a ritroso) del presente programma sia stato il non troppo velato omaggio di Salonen ad un altro grande direttore d’orchestra e compositore del nostro tempo come Pierre Boulez, che, in particolare, proprio a Messiaen e Stravinskij deve molto della fama planetaria acquisita in oltre cinquant’anni di carriera.
Raccontarvi come è andata la serata di ieri e soprattutto l’abilità risaputa di Salonen e della fantastica orchestra inglese, non aggiungerebbe nulla a quanto già si sa leggendo le cronache dei giornali e delle riviste specializzate.
Premesso però che a chi scrive il Jolivet tedioso delle “Cinq danses rituelles” è piaciuto meno rispetto ad altri suoi lavori ascoltati in precedenza, va invece, secondo me, rimarcata la suggestiva pagina - solo apparentemente “descrittiva” - di quel geniale compositore che è stato Messiaen.
Infatti gli Uccelli esotici, scritti tra il 1955 e il 1956 su commissione dell’allievo-Boulez, sono una sorta di smagliante suite ispirata al canto di ben quarantasette differenti esemplari di uccelli cinesi, indiani, malesi e americani. Ne risulta alla fin fine, pur in un organico abbastanza raccolto con pianoforte e piccola orchestra di strumenti a fiato e percussioni, una scrittura strumentale che sa tradursi come poche altre in sensuali volate post impressionistiche combinate con continui e originalissimi scarti di registro. Al pianoforte, in una parte di allucinante difficoltà tecnica, abbiamo potuto apprezzare l’incredibile talento tecnico ed espressivo della giovane serba Tamara Stefanovich, che suona abitualmente con un “certo” Pierre-Laurent Aimard. Serata dunque in crescendo con l’esecuzione poi praticamente perfetta del “Sacre” stravinskiano.
Salonen è direttore dal gesto pulito e al contempo vibrante, possiede di suo un eccellente controllo sull’orchestra e per certi versi mi ha ricordato un altro illustre maestro come Seiji Ozawa, capace come pochi al mondo di orchestrare con disarmante naturalezza e in modo pressoché straordinario composizioni di terribile difficoltà tecnica. Del Sacre di Salonen mi è piaciuta in particolare la sua abilità a rendere anche con una certa libertà il talora crudele spettro dinamico e agogico dei singoli blocchi sonori stravinskiani. Indimenticabili anche certi “ritardandi”, oltre alla spettacolare ricerca di sonorità volutamente deformate di archi e ottoni.
Chiaro che risultati interpretativi di così eccelso valore si possono ottenere solo da orchestre di autentici solisti (in maggioranza incredibilmente giovani) come la Philarmonia di Londra. In Italia solo orchestre come quella di Santa Cecilia, Scala di Milano e Nazionale della Rai potrebbero misurarsi, o meglio, non sfigurare nell’impietoso confronto.
Alla fine del concerto pubblico naturalmente entusiasta, anche se a qualcuno non è andato troppo giù un programma del genere e avrebbe probabilmente preferito i “soliti” Mozart e Beethoven. Per quanto mi riguarda scelte di questo tipo possono solo arricchire il bagaglio cultural-musicale di ciascuno e favorire ancor di più la ricerca verso ascolti nuovi o comunque poco frequenti qui a Bari.
Salonen e la Philarmonia hanno, va detto, “costruito” un programma per palati fini, dove il tema era il rapporto del mondo musicale con la natura e la danza. Ecco il perché di una scelta come quella dettata dalle “Cinq danses rituelles” di Andrè Jolivet, gli “Oiseaux Exotiques” di Olivier Messiaen e il “Sacre du Printemps” di Igor Stravinskij, quest’ultimo ormai mitico e insuperabile capolavoro del Novecento musicale.
Un’altra considerazione può essere quella che a suggerire una così seducente successione (peraltro cronologicamente a ritroso) del presente programma sia stato il non troppo velato omaggio di Salonen ad un altro grande direttore d’orchestra e compositore del nostro tempo come Pierre Boulez, che, in particolare, proprio a Messiaen e Stravinskij deve molto della fama planetaria acquisita in oltre cinquant’anni di carriera.
Raccontarvi come è andata la serata di ieri e soprattutto l’abilità risaputa di Salonen e della fantastica orchestra inglese, non aggiungerebbe nulla a quanto già si sa leggendo le cronache dei giornali e delle riviste specializzate.
Premesso però che a chi scrive il Jolivet tedioso delle “Cinq danses rituelles” è piaciuto meno rispetto ad altri suoi lavori ascoltati in precedenza, va invece, secondo me, rimarcata la suggestiva pagina - solo apparentemente “descrittiva” - di quel geniale compositore che è stato Messiaen.
Infatti gli Uccelli esotici, scritti tra il 1955 e il 1956 su commissione dell’allievo-Boulez, sono una sorta di smagliante suite ispirata al canto di ben quarantasette differenti esemplari di uccelli cinesi, indiani, malesi e americani. Ne risulta alla fin fine, pur in un organico abbastanza raccolto con pianoforte e piccola orchestra di strumenti a fiato e percussioni, una scrittura strumentale che sa tradursi come poche altre in sensuali volate post impressionistiche combinate con continui e originalissimi scarti di registro. Al pianoforte, in una parte di allucinante difficoltà tecnica, abbiamo potuto apprezzare l’incredibile talento tecnico ed espressivo della giovane serba Tamara Stefanovich, che suona abitualmente con un “certo” Pierre-Laurent Aimard. Serata dunque in crescendo con l’esecuzione poi praticamente perfetta del “Sacre” stravinskiano.
Salonen è direttore dal gesto pulito e al contempo vibrante, possiede di suo un eccellente controllo sull’orchestra e per certi versi mi ha ricordato un altro illustre maestro come Seiji Ozawa, capace come pochi al mondo di orchestrare con disarmante naturalezza e in modo pressoché straordinario composizioni di terribile difficoltà tecnica. Del Sacre di Salonen mi è piaciuta in particolare la sua abilità a rendere anche con una certa libertà il talora crudele spettro dinamico e agogico dei singoli blocchi sonori stravinskiani. Indimenticabili anche certi “ritardandi”, oltre alla spettacolare ricerca di sonorità volutamente deformate di archi e ottoni.
Chiaro che risultati interpretativi di così eccelso valore si possono ottenere solo da orchestre di autentici solisti (in maggioranza incredibilmente giovani) come la Philarmonia di Londra. In Italia solo orchestre come quella di Santa Cecilia, Scala di Milano e Nazionale della Rai potrebbero misurarsi, o meglio, non sfigurare nell’impietoso confronto.
Alla fine del concerto pubblico naturalmente entusiasta, anche se a qualcuno non è andato troppo giù un programma del genere e avrebbe probabilmente preferito i “soliti” Mozart e Beethoven. Per quanto mi riguarda scelte di questo tipo possono solo arricchire il bagaglio cultural-musicale di ciascuno e favorire ancor di più la ricerca verso ascolti nuovi o comunque poco frequenti qui a Bari.
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