“Ci voleva Zubin Mehta (nella foto) per scardinare l’ultimo baluardo che mi teneva lontana da Wagner. Ebbene sì, sono pucciniana, sono verdiana; amo le cose che si concludono, amo le cabalette e le romanze da cuore in mano. Amo l’opera perché mi racconta di storie che, se pur esasperate all’eccesso, sono reali e può accadere che un marito uccida un rivale: è notizia da TG.Wagner, per un animo semplice e pratico come il mio, è un signore che ci mette molto tempo per spiegare concetti altrimenti concisi ed essenziali; che perde molto altro tempo per ribadire queste spiegazioni – quasi fossimo bambini lenti a capire – e lo fa avvolgendo belle parole con una musica ammaliante e coinvolgente … Ma sfiancante. Una musica che lascia un grande senso di incompiuto, un’inconclusa felicità.
L’abitudinario melomane pucciniano sa che nel giro di un paio d’ore la bella Mimì conosce Rodolfo, si innamorano, vanno a vivere assieme, si lasciano, lei si ammala e poi muore tornando da lui. Due ore, il tempo di un film: antefatto, svolgimento e fine. Si sorride, si sta con il fiato sospeso e si piangono compiaciute lacrime; si torna a casa appagati: la vita è bella, noi siamo vivi e lei, povera piccina, è morta.
In Wagner no. Serve tempo e pazienza: l’ho capito ieri sera …
E ieri sera, nel gremito teatro Comunale, ho assistito al mio primo Sigfrido, il mio primo impatto visivo con l’universo wagneriano popolato di eroi, walchirie, nani cattivi, draghi dalla bava velenosa, uccellini leggiadri, cerchi di fuoco, Dei, spade e fucine.…metallo e fuoco. Rosso e acciaio. Immagini riflesse, ripetute, amplificate da schermi enormi e dal pavimento a specchio; moderne macchine rinascimentali per raccontare eroi antichi e draghi medievali. Persone che spostano, a vista, queste macchine; persone vestite di bianco che diventano cavalli in corsa, crestati animali preistorici, foreste insidiose. Persone che volano sul golfo mistico, che si librano verso la platea. Luci accecanti, lampi bianchi, fiamme vere.
E ieri sera, nel gremito teatro Comunale, ho assistito al mio primo Sigfrido, il mio primo impatto visivo con l’universo wagneriano popolato di eroi, walchirie, nani cattivi, draghi dalla bava velenosa, uccellini leggiadri, cerchi di fuoco, Dei, spade e fucine.…metallo e fuoco. Rosso e acciaio. Immagini riflesse, ripetute, amplificate da schermi enormi e dal pavimento a specchio; moderne macchine rinascimentali per raccontare eroi antichi e draghi medievali. Persone che spostano, a vista, queste macchine; persone vestite di bianco che diventano cavalli in corsa, crestati animali preistorici, foreste insidiose. Persone che volano sul golfo mistico, che si librano verso la platea. Luci accecanti, lampi bianchi, fiamme vere.
Stupore! … E la Fura dels Baus torna a Firenze per la terza giornata del Ring!L’impatto visivo è sconvolgente, il coinvolgimento emotivo è enorme. Forse il mio inaspettato animo wagneriano avrebbe voluto più alto il volume dell’orchestra e, indubbiamente, un tenore dallo squillo eroico, che sparasse bordate di suono in sala. Così non è stato e mi chiedo se la scelta di una lettura orchestrale quasi intimistica, a tratti stranamente sofisticata per le mie orecchie, sia dovuta all’effettivo non gran volume vocale di Leonid Zakhozhaev, tenore russo al debutto nel ruolo. Il resto del cast mi ha appagata ed era un Wagner come volevo, come da copione: Juha Uusitalo autoritario e regale come Der Wanderer, il Mime di Ulrich Ress maligno e cattivo – leggo che è un tenore caratterista … ma che bella interpretazione! – e Alberich, un incisivo Franz Joseph Kapellmann. Anche il drago Fafner parla con voce umana, quella profonda e precisa di Stephen Milling.
Poi, dopo ore di musica - dopo che sembra che tutto debba accadere da un momento all’altro e nulla di quello che ti aspetti, in realtà, accade - appare un mondo nuovo. Un tema orecchiabile e trascinante apre il III atto e Siegfried è solo, sulla superficie a specchio del palco, mentre davanti a lui, a radente volo d’uccello, scorrono rapide immagini di montagne innevate, di vette ripide, di fuochi nelle foreste.
Scendiamo in picchiata, ci alziamo in volo e forse cadremo. La pancia risuona di musica, trema di immagini. Mi dico che sì ne è valsa la pena. Una rupe si avvicina ed ecco che appare una ragazza guerriera; dorme in un cerchio di fuoco, in una corazza di cristallo: le fiabe della mia infanzia diventano reali. Lui la bacia, lei si sveglia e squilli di voce imperiosi salgono in cielo: Jennifer Wilson è la Brünnhilde bionda, perentoria e dolce, che volevo. E prima di lei c’era stata l'abbacinante apparizione di Catherine Wyn-Rogers come Erda, bella voce ampia e tornita: un mappamondo vorticante si spacca e lei ne esce, partorita dal profondo della terra in cui dormiva. E' indimenticabile Chen Reiss, l’aereo uccellino sempre in volo, la voce un campanellino vibrante.
Bellissimo il suono dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino portata sul palco dall’amato maestro Mehta per i doverosi applausi finali. Spettacolo, quindi, all’altezza del prestigio riconosciuto al Teatro del Maggio Fiorentino: uno spettacolo di livello internazionale, ricco di charme e sostanza. Il teatro era gremito, l’attenzione altissima: dalle sette a mezzanotte e venticinque non una mosca è volata in sala. E Wagner sia! "
Marilisa Lazzari
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