domenica 8 maggio 2011

"L'Aida di Verdi al Maggio Musicale Fiorentino" di Maurizio Dania*


"Scrivere su Aida è difficile perchè sono stati composti libri interessantissimi, e pare che non ci sia più molto da dire. L'opera andò in scena alla Scala di Milano in prima europea il giorno 8 febbraio 1872, 45 giorni dopo la prima rappresentazione all'Opera del Cairo, si disse in occasione dell'apertura del Canale di Suez. Che era comunque già stato percorso dalle navi mercantili. La protagonista era Teresa Stolz, Amneris, Maria Waldman, Radames, Giuseppe Fancelli, Amonasro, Francesco Pandolfini, dirigeva Franco Faccio. Verdi aveva scritto una sinfonia che sostituì con il preludio. La riprese nel 1940 Toscanini a New York in un concerto della NBC. Alla Scala verrà eseguita nel 1977 da Claudio Abbado. Verdi non ne autorizzò mai la stampa.

Quell'Aida fu recensita con entusiastiche espressioni sulla Gazzetta Musicale di Milano, diretta da Giulio Ricordi. Fu un trionfo. Verdi però non fu soddisfatto nè delle critiche, nè degli elogi: "...non uno ha espresso un'idea elevata, artistica; non uno che abbia voluto rilevare almeno il fatto materiale di un'esecuzione, d'una - mise en scène - insolite!". Per Verdi era sciocco un paragone che venne fatto con il Lohengrin, ed aveva ragione.





Questa sera forse nessuno è in grado di rilevare i veri intendimenti dell'Autore. Quel che è certo che non si può più aver nella mente la confusione di idee che accolse l'opera alla Scala: non fu la musica dell'avvenire, non era neppure una partitura che inseguiva Wagner. Era ed è un capolavoro italiano, della musicalità italiana, semmai era un lavoro sorprendente che in qualche modo preparava la profondità del pensiero che nel 1874 gli permise di scrivere la Messa da Requiem e nel 1881 di rifare il Simon Boccanegra, elevando, grazie anche a Piave, quel primo parto, ad un capolavoro. Aida è una folgorante rivelazione, com'era stato Nabucco agli esordi. La musica è studiata, ma con un impulso che colora il dramma con un'alternanza di tinte mai troppo vivaci e quasi mai fosche, in una sintesi soggiogante che distingue il bello, l'assoluto, dal banale, che eleva la musica a virtù umana.

Questo, a mio parere offre la direzione e la concertazione di Mehta che guida l'orchestra del Maggio fiorentino, ispiratissimo, con la forza del pensiero e la delicatezza del gesto; Firenze offre un'esecuzione memorabile perchè estremamente teatrale anche solo ascoltandone l'esecuzione radiofonica.


Luciana D‘ Intino è un'Amneris credibile ed è molto corretta; Aida è Hui He che per quel che mi riguarda questa sera ha offerto una splendida esecuzione vocale ed è nel personaggio con lo spirito ed il cuore. Emerge nel concertato: teatralmente pare di vederla. Ogni frase è un raggio di luce. Bravi anche gli altri. Nel complesso, anche se nessuno può essere annoverato tra i migliori interpreti presenti oggi sui palcoscenici del mondo. Qualcuno eccede e ha qualche accento verista. Nessun protagonista da Radames, ad Amonasro, tranne il Ramfis di Prestia, tecnicamente in grado di emergere, è superiore alla media. Il tenore è sufficiente. Gli acuti sono sfocati o soffocati. E' un limite difficilmente superabile con il solo studio. E' una questione di impostazione di base. C'è sempre il rischio che su tre prove, in una ricada nell'errore, anche se migliorasse l'appoggio e riuscisse ad aprire il suono con sicurezza, senza dar l'impressione di strozzarsi. Il coro è superlativo. Straordinario il finale del secondo atto, dai ballabili in poi. Mehta ha lavorato moltissimo e tutti si sono impegnati al massimo. Una marcia trionfale così non l'avevo mai ascoltata: un inizio tragico quasi che la gioia della vittoria facesse da copertura ad un dramma che non è solo quello del popolo sconfitto, ma anche adi una tragedia più intima che coinvolgerà l'eroe, la schiava e la vera padrona e regina dell'opera e della vicenda che è Amneris. Poi il crescendo che lascia liberi gli entusiasmi. Aida emerge nel concertato e nel finale. L'orchestra si scatena, il coro segue correttamente, la gloria dell'eroe è evidente, tangibile. Poi tutto cambia. Come ben si sa. Radames tradisce. Per amore. Tradisce il suo popolo, ma soprattutto non ama Amneris. Che lo accusa. E lo porta in giudizio.

Il finale è un gioco di ombre e di oscurità. Grande prova della D'Intino durante il processo a Radames. Il disperato accento delle sue invocazioni agli dèi per implorare pietà, contrasta con molta efficacia la fredda brutalità di quanto avviene nei confronti di Radames. Splendido il rullo, in pianissimo, della gran cassa. La sequenza a ogni ripetizione delle accuse, sale di un semitono. Nelle inutili parole la D'Intino- Amneris fa udire l'angoscia che sprigionano le cadenze verdiane. L'invocazione diventa ira e famose sono le parole cantate dalla cantante-attrice:" Oh! gl'infami! nè di sangue son paghi giammai...e si chiaman ministri del ciel!".

Nell'orchestra emergono i legni ed i fiati. Il quadro finale è per la parte orchestrale, da antologia. Grazie ad Aida e a Metha. La musica del duetto finale " O terra addio" è di una serenità celestiale.

Il canto dei sacerdoti e la dolorosa frase di Amneris, che ha comunque creato con le sue accuse la fine dell'amato Radames, si uniscono all'inno degli amanti. Uno condannato, l'altra che lo segue nel destino. Le voci di Aida e Radames si dissolvono nel silenzio e quando i primi violini, stupendi questa sera, eseguono lentamente le ultime battute, Amneris mormora il suo ultimo " pace t'imploro, pace, pace", i sacerdoti cantano il loro "Immenso Fthà" con uno splendido pianissimo. (pppp)

Mehta e l'orchestra hanno raggiunto il vertice di questa serata.

Come è stato scritto, nei suoi aspetti intimo e spettacolare, Aida è il trionfo della fantasia: questa sera diventata teatro nel senso pieno della parola." Maurizio Dania
*La recensione si riferisce alla "Prima" del 28 aprile scorso.

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