giovedì 22 marzo 2012

"Cercando Picasso con Giorgio Albertazzi: riflessioni sull’arte al Petruzzelli" di Carlo Coppola*


"Cosa resta di Pablo Picasso e della sua esperienza di genio e sregolatezza fin troppo regolata, delle Avanguardie della prima metà del Novecento? Pittura in movimento, poesia, teatro ed eros? Eumenidi e Muse hanno lasciato il posto solo al Duende, al Daimon stesso che genera l’arte!
Giorgio Albertazzi è Picasso uno dei grandi vecchi della cultura italiana e chi meglio di lui può comprendere l’esistenza di questo eccezionale folletto, Erdgeist goethiano, che conduce direttamente a Nietzsche. Lo spettacolo con la regia di Antonio Calenda e la partecipazione della Martha Graham Dance Company, sa di vecchio di sottratto dalla naftalina. L’attore monologante per quanto elegante nella sua canizie si aggira alla ricerca di sè, di un percorso o solo magari di un filo conduttore che ricorda più il pittore Zeusi che Picasso.
La realtà è quella della Baccanti o Bagnanti, care alla pittura tra Otto e Novecento, trasformate da signorine di buon gusto e qualche vezzo, in “badanti” che trascinano l’Albertazzi-Picasso in una sorta di emotiva petit-déjeuner sur la scène. Tanta è la fatica del nobile mattatore ma lo spettacolo non decolla, non si sublima in suoni, colori, luci, fondali, scenografie e costumi. La noia come sentimento aristocraticamente romantico - Leopardiano - finisce per coinvolgere tutti i reparti che collassano alla occasionalità di un lavoro che procede oltransisticamente fino alla consunzione di Picasso stesso che dopo aver cercato il suo sé approda vividamente alla vecchiezza e alla morte quale termine di un percorso estetico, gnoseologico e ontologico assieme.
Per tutto il tempo della rappresentazione scenica, una drammaturgia ibrida - tra testo d’attore solo, interventi a più voci e coreografie - cerca di trasformare il reale nel non reale e il non reale nel metaforico. Banalità dei nostri tempi? Eppure questa operazione, che Picasso in persona era perfettamente riuscito a svolgere, senza cadervi nei vari momenti della sua esistenza, non riesce affatto allo spettacolo di Calenda. Il genio della pittura Spagnola infatti non esce neppure un istante con la forza delle sue realizzazioni, con l’incisività della sua teoresi. Resta appeso ad un filo. Invocato e non evocato e attorno ad esso si costruisce un cancello di belle polpe femminili, danzanti, saltellanti, riconoscenti. Veneri stilizzate fino al superamento del “marmorino”, via anche il marmo saccarosio!
In questa eccitazione vocatoria e iper-verbalistica, le prefiche diventano donne del Medioevo, perdendo i loro connotati di latinità e grecità e Goya smarrisce per un attimo la sua identità di pittore ispanico per eccellenza, diventando addirittura Inglese. I diari di Picasso e le sue lettere vengono saccheggiate quasi alla rinfusa. Allo stesso modo Garcia Lorca viene chiamato in causa a riempire un vuoto che caratterizza il tentativo di “cercare Picasso” in modo affannoso e non chiaro. Cosa si cerca di Picasso, chi lo ricerca, a quale scopo, per quale ragione? Lo si vuole elogiare o piuttosto rimproverare di non aver portato fino in fondo a termine un percorso?
A dir poco pressappochista è infine il tentativo di citazione de Il desiderio preso per la coda un testo surreale che Picasso scrisse nei giorni del’occupazione nazista a Parigi, in uno scenario di guerra. In questa parte dello spettacolo in particolare, tra i frenetici movimenti di coreografia nulla “accade”. La scena, la musica, il movimento non raccontano la vicenda di uno scontro, di un duello, in cui il testo è personaggio, il momento in cui è stato scritto viene immobilizzato e reso cornice, e la pittura del suo autore precipita, in altre dimensioni dell’immagine, ma senza convincimento. Questo Picasso, la cui natura presenzialista in scena pretenderebbe di coordinare la scena stessa, richiama una sorta di appello i protagonisti del suo stesso metateatro, in uno scimmiottamento della Classe Morta di Kantoriana memoria.
Diceva Picasso, «La pittura è uno strumento di attacco e di difesa contro il nemico. La buona pittura, ogni pittura, dovrebbe essere irta lame di rasoio». A destreggiarsi tra le arti occorre arguzia e coraggio. Questo lavoro, pur chiamando a raccolta tutte le arti nel tentativo di riprodurre un’Arte Totale, non sfiora neppure gli straordinari effetti dell’eclettismo del protagonista a cui si ispira o dei tanti personaggi che cita, anzi ne mortifica quasi la portata riducendo quelle straordinarie stagioni di Avanguardie artistiche ad un coacervo informe, quasi un carrozzone dell’arte, travisandone nei fatti il messaggio di totale rivoluzione artistica." CARLO COPPOLA *(Fonte: Lsd Magazine online - 21 marzo 2012)

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