"Martedì scorso al teatro Forma si è esibito un quartetto di giovani musicisti tedeschi, i “Quadro Nuevo” (nella foto), che ha dato vita ad uno spettacolo sonoro genuinamente godibile e divertente.
Nonostante la loro giovane età, come ha voluto subito
precisare lo stesso presidente di "Nel Gioco del Jazz" Donato Romita, nella sua puntuale presentazione, il successo arride da almeno dieci anni a questo
ensemble con sede a Monaco, soprattutto nella sua terra d’origine e nei paesi del Nord Europa, ma anche in Italia dove
si esibiscono prevalentemente in Toscana.
Il quartetto è composto da Mulo Francel al sax tenore,
soprano e clarinetto, D.D. Lowka al contrabbasso e percussioni, Andreas
Hinterseher, al bandoneon e fisarmonica, ed Evelyn Huber all’arpa e allo
xilophone.
Diciamo subito che
il repertorio del gruppo è interessante quanto variegato, perché
costituito essenzialmente da riletture ed interpretazioni originali di generi
diversi come le musiche popolari napoletane come Luna rossa e le songs di cantanti e cantautori come Mina o Renato Carosone,
eseguite come omaggio al pubblico italiano; altri pezzi forti sono alcune
interpretazioni di brani del tango di Astor Piazzolla (Libertango su tutti,
richiesto come bis) e musiche latino americane come la rumba, ma soprattutto la
vera peculiarità di questo gruppo è la pretesa di rielaborare le essenze musicali di Paesi e
continenti diversi; dalle atmosfere nordiche a quelle orientali, essi cercano
di presentare ogni brano come un vero e proprio viaggio, con la scommessa, a
volte riuscita perfettamente, a volte un po’ meno, di sedurre e coinvolgere lo
spettatore: non a caso il titolo della serata era Grand Voyage.
Questa è l’impressione che si è avuta fin dal primo brano,
ossia una rilettura intensa e quasi notturna di “Parole, parole, parole”: un
primo viaggio che come tutti gli altri dura un bel po’, perché ogni
arrangiamento presenta notevoli variazioni sul tema, sia dal punto di vista
dell’ambiente sonoro, sia a volte, del ritmo e dell’intensità che vengono
improvvisamente portati ad alti livelli con accelerazioni improvvise
soprattutto del sax che spesso e volentieri fa da leader, seguito poi dalla
fisarmonica, piuttosto che dalle percussioni, o dalle incursioni molto
gradevoli dell’arpa.
E’ ovvio che per raggiungere l’effetto di “viaggio”
occorre intessere una trama fitta, costituita da un dialogo tra gli strumenti
nel quale non ci possono essere troppe battute a vuoto né fughe solitarie, ma
un equilibrio fatto spesso di delicatezza nei lenti e di frenesia quasi
orgiastica nelle rielaborazioni del tango con il contrabbasso usato come
percussione, o di “Tu vuoi fa l’americano”, nei quali gli strumenti sanno a
memoria come fermarsi appena in tempo;
In alcuni casi l’effetto finale è un po’ di stordimento
quasi che il brano sia stato strapazzato come avviene in “Krep”, un brano
composto nella città crimea di Pachsarai, nella quale forti sono gli echi della
cultura musicale tartara: qui il sassofono è molto invadente fin da subito e
intreccia un duetto quasi assordante con lo xilophone.
L’ensamble ha viaggiato molto, come testimonia “La canzone
della strada”, o il brano composto ad Antiochia per la colonna sonora di un
film là girato, nel quale ci dice il sassofonista, si è cercato di rendere
l’armonia tra le etnie diverse musulmana, cristiana ed ebrea.
Originali sono anche i brani del ciclo dedicato alla civiltà
Maya “Le città delle spezie”, del quale abbiamo sentito “Paprika” e “Cacao”:
nella prima il bandoneon fa la parte del leone ed è seguito da un bell’assolo
virtuosistico dell’arpa, il secondo è fondato ritmicamente sulle percussioni
con il sax come protagonista.
A proposito di virtuosismo, ogni strumento ha avuto la
possibilità di stupire, più che altro nei brani veloci nei quali l’economia tra
gli strumenti era meno sorvegliata.
E’ proprio in questi brani originali composti dal
quartetto quando sono in viaggio che è più evidente lo sforzo di dare la
sensazione di un flusso che transita in modo quasi onirico in una dimensione
spazio temporale volutamente non definita nei momenti soft e che anche nei
tratti più vigorosi e “vertiginosi” non si risolve mai in un circolo chiuso ma
rimane quasi sospesa a mezz’aria, lasciando però a volte un po’ interdetti.
Una piccola chicca è invece il pezzo intitolato “Piccola
principessa” nel quale il mandolino pizzicato da Mulo Francel ordisce la trama
di struggente delicatezza del brano, e per la prima volta il contrabbasso non è pizzicato ma suonato con l’arco, e la
fisarmonica svolge un tema concluso quasi d’incanto dallo xilophone."
Giuseppe Marsico
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