Il time-lapse è una tecnica cinematografica nella
quale la frequenza di ogni fotogramma è molto
inferiore a quella di riproduzione. A causa di questa discrepanza, la
proiezione con un frame rate standard di 24 fps fa
sì che il tempo in un filmato sembri
scorrere più velocemente del normale. Ludovico Einaudi, pianista e compositore
italiano di riconosciuto successo planetario, applica questa raffinata tecnica
alla sua musica e lo fa in questo suo nuovo disco che sta portando in tournèe co successo dagli inizi del 2013 in Italia, e che ha visto la sua ultima tappa, prima delle
numerose date europee, al Teatro Petruzzelli di Bari.
Un significativo "extra" di stagione voluto fortemente dal commissario Carlo Fuortes nella programmazione della fondazione lirico-sinfonica di Bari di quest'anno. Chi scrive non ha mai visto il nuovo Petruzzelli così pieno di pubblico. Ci sono fino a sei, sette persone per palco. Un autentico, reale "sold out". Einaudi non è solo al pianoforte, come lo ricordavamo nei suoi esordi baresi al Kismet più di vent'anni fa, ma è affiancato da un corposo ensemble di buoni strumentisti: quattro violini, due viole, due violoncellisti, un percussionista, un multistrumentista ed un curatore di "live electronics". Negli anni il linguaggio minimalista di riferimento di Einaudi si è progressivamente ampliato; la sua ricerca ha trovato nuovi approdi nella World e nella New Age Music (la sua feconda collaborazione con l'arpista elettrica della brava Cecilia Chailly non è infatti un caso) e persino nella musica etnica e popolare. Ha diretto il Festival della Notte della Taranta per due anni consecutivi e questo non lo ha lasciato indifferente, da un punto di vista squisitamente estetico. Il suo nuovo disco "In a time lapse" è pertanto più originale, ipnotico ed intrigante dei precedenti. A chi scrive certe armonizzazioni e reiterate modulazioni così semplici e talora scontate danno un po' di fastidio, ma poi c'è chi al tuo fianco ti tranquillizza - einaudiano da anni - e ti spiega che questa musica non va ascoltata come Bach, Mozart e Beethoven (nostro pane quotidiano), ma bisogna calarsi in una sorta di meditazione zen o buddhista.
Un significativo "extra" di stagione voluto fortemente dal commissario Carlo Fuortes nella programmazione della fondazione lirico-sinfonica di Bari di quest'anno. Chi scrive non ha mai visto il nuovo Petruzzelli così pieno di pubblico. Ci sono fino a sei, sette persone per palco. Un autentico, reale "sold out". Einaudi non è solo al pianoforte, come lo ricordavamo nei suoi esordi baresi al Kismet più di vent'anni fa, ma è affiancato da un corposo ensemble di buoni strumentisti: quattro violini, due viole, due violoncellisti, un percussionista, un multistrumentista ed un curatore di "live electronics". Negli anni il linguaggio minimalista di riferimento di Einaudi si è progressivamente ampliato; la sua ricerca ha trovato nuovi approdi nella World e nella New Age Music (la sua feconda collaborazione con l'arpista elettrica della brava Cecilia Chailly non è infatti un caso) e persino nella musica etnica e popolare. Ha diretto il Festival della Notte della Taranta per due anni consecutivi e questo non lo ha lasciato indifferente, da un punto di vista squisitamente estetico. Il suo nuovo disco "In a time lapse" è pertanto più originale, ipnotico ed intrigante dei precedenti. A chi scrive certe armonizzazioni e reiterate modulazioni così semplici e talora scontate danno un po' di fastidio, ma poi c'è chi al tuo fianco ti tranquillizza - einaudiano da anni - e ti spiega che questa musica non va ascoltata come Bach, Mozart e Beethoven (nostro pane quotidiano), ma bisogna calarsi in una sorta di meditazione zen o buddhista.
In questo, mi chiedo allora, le immagini
potrebbero aiutare un po' di più: alla maniera, per esempio, di quanto ha fatto
stupendamente nel suo capolavoro "L'albero
della vita" il regista cinematografico Terence Malick...
Divagazioni le mie?
Probabilmente sì, perchè i 1500 del Petruzzelli non hanno alcun dubbio invece
nel decretargli, applaudendo a più riprese il concertone di oltre due ore
(senza alcuna fisiologica pausa), uno straordinario trionfo. Bravo Ludovico ad
aver capito cosa serve alla gente di oggi: sognare, vibrando insieme,
attraverso note belle, amplificate, suggestive, semplici...Altro che i figli di
Varese, Boulez, Stockhausen e Nono che continuano imperterriti nella loro
sterile quanto onanistica emulazione dei loro padri. La musica è proprio
cambiata...O no?
Nessun commento:
Posta un commento