sabato 1 giugno 2013
In scena il voyeuristico Rigoletto (senza gobba) reinventato da Denis Krief. Buona la direzione musicale di Carlo Rizzari
Da quando nel 1976 il regista francese Patrick Chèreau scandalizzò a Bayreuth con il suo Ring wagneriano in abiti ottocenteschi ne è passata di acqua sotto i ponti.
Oggi vedere una Tosca ambientata sì a Roma, ma durante l'epoca fascista o un Elisir d'amore rivisitato sulla spiaggia di Rimini non scandalizza più nessuno. Anzi viene persino considerato bigotto e conservatore il critico che si azzardi a non apprezzare le geniali intuizioni dei registi odierni. Con l'alibi che bisogna svecchiare l'opera lirica per renderla più vicina alla contemporaneità si realizzano spettacoli spesso incomprensibili e stravaganti persino per chi segue l'opera da frequentatore e appassionato ultratrentennale. Figuriamoci cosa ne pensano i ragazzi che sono invitati nei teatri d'opera, credendo di trovarsi di fronte ad una storia come Rigoletto nel cui libretto c'è scritto testualmente nella didascalia inziale dell'Atto I: "Sala magnifica nel palazzo ducale, con porte nel fondo che mettono ad altre sale pure splendidamente illuminate. Folla di Cavalieri e Dame in gran costume. Paggi che vanno e vengono. La festa è nel suo pieno...eccetera".
Ecco, chi scrive ha pensato proprio a questo, quando all'apertura del sipario del Petruzzelli ieri sera, si è ritrovato una scena spoglia e buia riempita da belle figuranti in abiti da sera e signori in smoking. Due cubi in movimento si accostavano per disegnare al loro interno ambienti e scene diversi, ma del lussuoso Palazzo Ducale non c'è traccia. Il regista Denis Krief viene certo dalla tradizione come lui sostiene, ma non è nemmeno un "rivoluzionario" come Chèreau, bensì uno che ricrea, o meglio reinventa. Lui il libretto lo segue fino ad un certo punto e ci mette del suo quando fa morire Monterone (ammazzato poi da chi? Da Sparafucile o dal Duca di Mantova?), sì proprio quello della maledizione. L'analogia con il Commendatore del Don Giovanni mozartiano è chiara, evidente, ma i ragazzi su in quint'ordine l'avranno capita? Solo se avranno fatto i bravi ascoltando parallelamente anche il Don Giovanni di Mozart. E ne vale la pena, ve l'assicuro.
Il Duca di Mantova è poi un giovane (nemmeno troppo ricco) materialista e assetato solo di sesso e conquiste, si fa scudo con un branco di squallidi amici e nettaculi allupati, che stanno tutti lì a spiare dal buco della serratura belle fanciulle nell'atto di vestirsi o spogliarsi. Rigoletto, in giacca e pantaloni e senza gobba, che Rigoletto è? Dov'è lo sfigato guitto dal cuore d'oro che ci viene raccontato da Giuseppe Verdi e Francesco Maria Piave? Vallo a spiegare agli studenti che magari si erano preparati a puntino per assistere a ben altra messinscena. Gilda sì, sembra una sfigata del popolino (perchè non farne un'aspirante velina della tv?) che ha voglia di fuggire dal padre-padrone Rigoletto che la tiene rinchiusa e fuori dal mondo. Alla fine il suo sembrerà un eroico suicidio, più che una morte violenta subìta, pur di sfuggire alla disperazione di una vita anonima.
Meno male, regia a parte, che c'è la musica straordinaria di Verdi. Quella almeno i registi come Krief non la possono cambiare. Chiudiamo gli occhi e l'ascoltiamo ben diretta da un maestro serio e preparato (è attualmente brillante assistente di Tony Pappano a Santa Cecilia) come Carlo Rizzari, e ottimamente eseguita dall'Orchestra del Petruzzelli. Non sempre impeccabile il Coro, mentre buona la giovane compagnia di canto, sotto i trent'anni selezionata con il meritevole progetto "Opera Nuova" della Fondazione lirico-sinfonica barese.
Solo il ruolo di Rigoletto è ricoperto da un cantante del calibro di Stefano Antonucci: bella voce baritonale, con dizione e accenti verdiani al loro posto, oltre che scenicamente esemplare (anche senza gobba). Pubblico diviso sulla regia, plaudente su cantanti, direttore e orchestra. Si replica fino al 10 giugno utilizzando due cast differenti.
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