Negli Anni Settanta, Ottanta e Novanta la violinista sudcoreana Kyung Wha Chung (nella foto, sorella maggiore del direttore d’orchestra Myung-Whun Chung) era una star indiscussa: il suo piglio fiero, il vibrato intenso, la sua calda espressività, il suono brillante conquistarono le platee di tutto il mondo. Nel 2005 un brutto infortunio all’indice sinistro sembrava però aver messo fine alla sua carriera, costellata di numerosissimi concerti e da incisioni di successo, prova del suo imponente repertorio.
Sono seguiti anni di obbligata inattività, durante i quali Kyung Wha Chung racconta di aver continuato a suonare il violino nella sua mente, ripercorrendo a memoria i passaggi più ostici e ragionando sulle scelte stilistiche e interpretative. Un training prima di tutto mentale, fondamentale per ritrovare ogni giorno la forza di tornare a suonare. La sfida è stata vinta nel 2010, quando Kyung Wha Chung è tornata sulle scene, prima in Asia e poi in Europa, con una quarantina di selezionatissimi concerti all’anno. Nell’intervista esclusiva rilasciata all’Unione Musicale (consultabile alla paginahttp://www.unionemusicale.it/intervista-esclusiva-a-kyung-wha-chung/) Kyung Wha Chung racconta l’esperienza dell’infortunio e della ripresa.
A trent'anni esatti dal suo debutto a Torino per l'Unione Musicale, Kyung Wha Chung torna sul palco del Conservatorio mercoledì 25 ottobre 2017 (ore 21), per l’unica tappa italiana del 2017 (tornerà a Roma nel 2018 con Pappano e l’Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia).
Dal 1987 al 1998, con ben 5 presenze, Kyung Wha Chung è stata tra le protagoniste delle stagioni dell’Unione Musicale dove ha riscosso unanimi consensi di pubblico e di critica, che ha più volte elogiato la sua musicalità, la sensibilità del gusto e dello stile, “l’ammirevole controllo del suono, del fraseggio e del taglio formale”.
Ora torna accompagnata al pianoforte da Kevin Kenner, primo americano a essere premiato – nello stesso anno (1990) – in due dei più prestigiosi concorsi pianistici internazionali come lo Chopin di Varsavia e il Čajkovskij di Mosca, senza contare le precedenti affermazioni al Van Cliburn e al Concorso Internazionale Gina Bachauer.
Chung e Kenner sonano insieme dal 2010, anno del ritorno sulle scene della violinista: «Sembra molto più tempo – dichiarava lei già qualche anno fa – ora siamo una voce sola. È un partner perfetto: maturo, puro come un bambino, molto intelligente e riflessivo. L’esatto contrario di me!»
Il programma della serata presenta alcune delle più incantevoli pagine per questo organico.
Parlando della sua Sonata in sol minore per violino e pianoforte Debussy diceva che «per una contraddizione del tutto umana, è piena di un gioioso tumulto», ma anche «spaventosamente malinconica». In questa ambivalenza espressiva, nel paradosso dell’umano, sta il fascino della Sonata che è l’ultima composizione a essere stata portata a termine, tra il 1916 e il 1917, dal compositore ormai divorato dalla malattia e circondato dall’angoscia per gli esiti drammatici della guerra. Questa pagina rappresenta lo sforzo estremo e di «una verità estetica senza precedenti», come ebbe a dire Boulez, «verso un’arte più tesa, più austera, più sprovvista di seduzioni immediate, ma ricca di ispirazione ineguagliata».
La Sonata in la maggiore op. 13 di Fauré, salutata fin dalla prima esecuzione da un enorme successo, secondo Camille Saint-Saëns possiede «tutto ciò che può sedurre, la novità delle forme, la ricerca di modulazioni e di sonorità curiose, l’impiego dei ritmi più imprevedibili; soprattutto, vi aleggia un fascino che avvolge l’intera opera e fa accettare alla folla degli ascoltatori ordinari, come cose del tutto naturali, le arditezze più impreviste».
Scritta nell’estate del 1875 al culmine del primo grande amore di Faurè con Marianne Viardot, la Sonata diede il via alla Renaissance della musica da camera francese.
Fiumi di inchiostro sono stati scritti per individuare la fonte di ispirazione di Proust per il brano descritto come «l’inno nazionale dell’amore» tra Swann e Odette. L’ipotesi più probabile è che fosse la Sonata in la maggioredi Franck, lavoro emblematico del secondo Ottocento francese per l’intensità lirica, la forma ciclica e il particolare equilibrio tra nitore e cromatismo di matrice wagneriana.
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