Venerdì 30 marzo, alle 21, al teatro Kursaal Santalucia di Bari, si esibirà il pianista Benedetto Lupo, in quello che sarà il concerto evento della stagione musicale organizzata dal Caffè d'Arte DolceAmaro con la direzione artistica di Domenico Del Giudice. Il celebre pianista barese torna a suonare nella sua città natale dopo diversi anni di assenza. In carriera, come noto, ha vinto concorsi di straordinario prestigio, quali il "Cortot" e il "Ciudad de Jaén" in Europa e il "Robert Casadesus", il "Gina Bachauer" e il "Van Cliburn" negli USA. Nel 1992 si è affermato a Londra nel prestigioso Premio "Terence Judd". Svolge un’intensa attività concertistica, con recital in tutto il mondo e collaborazioni con grandi direttori d'orchestra. Impegnato spesso anche in formazioni cameristiche, Lupo ha al suo attivo numerose incisioni discografiche con Teldec, BMG, VAI, Nuova Era, Harmonia Mundi e Arts. Nel 2005 la sua incisione per l'etichetta Harmonia Mundi del Concerto Soirée per pianoforte e orchestra di Nino Rota ha ottenuto il Diapason d'Or. Nel concerto barese del 30 marzo egli eseguirà musiche di Clara Wieck, Robert Schumann e Ciaikovskij. I biglietti sono già in vendita presso il Teatro Kursaal, Caffè d'Arte Dolceamaro e Giannini Pianoforti. (Infotel: 080 5289368). In occasione di questo atteso recital pianistico, vi propongo di seguito l’intervista che Benedetto Lupo mi ha gentilmente concesso, appena di ritorno da una tournèe di concerti negli Stati Uniti .
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Quando è nata la tua passione per la musica ?
“Ho nitidissimo il ricordo di mia madre che ascolta per radio un’esecuzione della Polonaise “Eroica” di Chopin suonata da Magaloff; mia sorella del resto studiava già pianoforte quando io avevo cinque anni e da subito ho supplicato i miei genitori di far studiare anche me, visto che cercavo comunque di strimpellare a modo mio. A sei anni sono stato accontentato.”
Hai in famiglia appassionati (o "melomani") che ti hanno inizialmente stimolato e indirizzato verso lo studio di uno strumento ?
“Mia madre da ragazza aveva preso delle lezioni di pianoforte; mio padre ha sempre suonato da dilettante pianoforte e chitarra, ma nel dopoguerra non c’è stata per lui la possibilità di dedicarsi agli studi musicali, cosa che lo avrebbe sicuramente reso felicissimo.”
Arturo Benedetti Michelangeli una volta fu fermato dalla polizia ad un casello autostradale e gli chiesero di mostrare i documenti domandandogli che lavoro facesse. Egli disse tra il serio ed il faceto " vado un po' qua un po' la". L'agente lo guardò perplesso: "E allora che scriviamo ?" Lui: "scriva pure che sono un girovago". Se succedesse a te, come pensi che risponderesti ?
“Quando negli aeroporti americani agli uffici di frontiera mi chiedono come mai io possieda quel tipo di visto –riservato agli artisti e agli atleti di fama- subito preciso che sono un pianista “classico”. Lo faccio non per darmi della arie ma, al contrario, per scoraggiare ulteriori domande, soprattutto da parte di chi magari mi immagina lanciato in una luminosa carriera nella musica pop –non ho certo il fisico d’un’atleta!-. Più d’una volta però, proprio durante i controlli di frontiera negli Stati Uniti, ho avuto delle piacevoli sorprese; un’addetta ai controlli, vedendo che sono pianista, mi ha chiesto quante opere di Chopin io avessi suonato! All’inizio ho risposto evasivamente, poi mi sono reso conto che la domanda era seria e che lei era una vera conoscitrice dell’opera di Chopin, quindi ho temuto che, se la mia risposta non fosse stata altrettanto seria, avrei corso il rischio di non giustificare il mio visto! Un’altra volta mi è capitato, sempre ai controlli di frontiera, di incontrare uno che mi ha raccontato di essere stato impiegato da giovane come “maschera” presso una grande sala di concerti a Portland, in Oregon; ciò aveva permesso ad uno come lui, vero appassionato di musica classica e senza grandi possibilità economiche, di sentire tanti artisti famosi; ricordava benissimo di aver sentito all’epoca anche Van Cliburn e, essendo io stato premiato al Concorso Van Cliburn, era molto fiero di avermi apposto lui stesso un visto sul mio passaporto.”
Quali sono i tuoi compositori preferiti, a prescindere da quelli che suoni abitualmente ?
“E’ difficile rispondere a questa domanda, anche perché, di solito, evito di suonare opere di compositori che non amo molto; in genere i preferiti sono quelli che suono, ma ce ne sono anche altri che non suono o che suono meno, pur amandoli. In questi giorni mi appassiona molto l’opera di Lutoslawski, un compositore che secondo me dovrebbe essere suonato di più; un altro grande di cui si parla spesso, ma che è raramente eseguito, è Fauré.”
Ascolti e/o studi musica sinfonica, lirica, jazz, rock, oltre a quella pianistica ? Se sì, dammi qualche esempio.
“Col tempo si sono un po’ ridotte le occasioni di ascolto “puro” e svincolato dal lavoro, ma la musica sinfonica, lirica o semplicemente vocale è sempre stata per me oggetto di studio e fonte d’ispirazione imprescindibile nel mio modo di suonare. In questo preciso momento ho in mente la musica vocale di Schubert e di Čajkovskij, ma mi affascina molto pensare anche ad alcune partiture orchestrali e immaginare come mi piacerebbe realizzarle. Non ho particolari simpatie per il rock mentre mi piace sentire jazzisti “vecchio stampo”; non dimenticherò mai l’emozione che ho provato nel vedere e sentire il vecchio Marsalis al pianoforte in un fumoso locale di New Orleans, pochi mesi dopo l’uragano Katrina.”
Quando hai deciso nella tua vita che avresti voluto - cascasse il mondo - diventare un pianista di professione?
“E’ avvenuto in modo piuttosto naturale; a undici anni già tenevo concerti, a tredici avevo debuttato con orchestra, a quattordici ero già all’estero. Per di più viaggiare allora era molto più difficoltoso di quanto lo sia oggi; ricordo ancora l’interminabile viaggio in treno a quattordici anni sino in Belgio! Il vero momento “di passaggio” però è stato alla fine del liceo classico, quando, a malincuore, mi sono reso conto che non ce l’avrei fatta ad iscrivermi all’Università, perché avevo già un’attività troppo intensa per frequentarne le lezioni. Per di più a diciotto anni, con tutti i titoli artistici che avevo, mi avevano già chiamato ad insegnare in Conservatorio, il che era sicuramente un onore, ma anche una grande responsabilità.”
Quanto è difficile nel mondo di oggi essere un pianista di "musica colta" ?
“Per fortuna oggi per me è relativamente “facile” rispetto a quando ho iniziato, ma, generalmente parlando, mi sembra che col tempo sia diventato sempre più difficile. Credo che nella nostra società ci sia sempre meno attenzione per qualsiasi attività che richieda elevate capacità di concentrazione. Sono anche piuttosto preoccupato per i giovani talenti che ci sono in giro; mi auguro che trovino spazi adeguati per esprimersi.”
Negli anni hai coltivato anche altre ambizioni o passioni, pianoforte a parte ? Se sì, quali hai mantenuto ancora oggi ?
“Credo che sia sopravvissuta solo la passione per la cartografia e la lettura; le ambizioni direttoriali che avevo da ragazzino sono state soffocate dalla “carriera” pianistica. Queste ambizioni non erano frutto di egocentrismo o alternative al pianoforte, ma corrispondevano al desiderio d’un’espressione totale nel campo musicale; il modo in cui è intessuto il discorso musicale è ciò che mi affascina di più in una partitura, sia essa orchestrale o solo pianistica.”
Ritieni che la tua vita privata debba essere solo tua o sei pronto a parlarne liberamente con tutti?
“Sono sempre stato piuttosto schivo ma, con gli anni, lo sono diventato ancor più. La “vita privata” o è privata o non lo è.”
Quanto è difficile per un pianista ambizioso, di talento e richiesto come te conciliare la vita familiare con la carriera?
“ E’ indubbiamente difficile. Raramente nella vita le scelte che fai non hanno un prezzo. Da una parte o dall’altra si pagano sempre dei pedaggi. Qualcuno a volte mi ha detto che avrei dovuto dedicare ancor più energie alla mia attività concertistica, ma io non credo che sia così, anche perché ritengo che l’errore più grave che si possa fare sia quello d’inquinare i motivi più intimi per cui si fa Musica con l’ossessione della carriera e, in generale, della ricerca spasmodica del riconoscimento altrui: “malattie dell’anima” cui i musicisti e gli artisti in generale mi sembrano particolarmente esposti.”
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