Applausi a
scena aperta, spettacolo godibilissimo nella sua elegante essenzialità e vivacità, ottime
voci, costumi bellissimi, musica di immediato, gradevole impatto.
Non si poteva chiedere di più a questo gustoso grand-opèra di Daniel F.E. Auber
che ieri sera ha deliziato il pubblico del Petruzzelli. Prodotta dall'Opera
Comique di Parigi la Muette de Portici, dove è stato allestito la scorsa
stagione, sempre con la regia della brava Emma Dante (su bozzetti di Carmine Maringola e costumi di Vanessa Sannino) andrà in scena il prossimo
anno a Bruxelles al Teatro de La Monnaie, è stata una scommessa personale e vincente del
commissario Carlo Fuortes.
Per un
teatro non ancora uscito dalle sabbie mobili di un non indifferente
"buco" in bilancio, ospitare spettacoli di questo livello costituisce indubbiamente un fatto importante. Del resto è già il presente e probabilmente il futuro prossimo delle fondazioni
lirico-sinfoniche italiane: quello cioè di far girare i migliori allestimenti tra i teatri, in
modo da garantire un contenimento di costi, altrimenti oggi
improponibili, oltre che offrire la possibilità di veicolare prodotti artistici di livello europeo che
non possono esaurirsi in poche date di spettacolo.
La "ritrovata" opera auberiana, come già detto in sede di presentazione, si svolge tra Napoli e Portici nel 1647 narrando
la vicenda di una giovane muta, Fenella, sedotta e abbandonata dal figlio del
Duca d'Arcos, Alphonse. Questi è preso dai rimorsi, poichè sta per sposare la
principessa Elvire; nel frattempo ha fatto imprigionare la povera Fenella,
popolana e soprattutto sorella del pescatore Masaniello. Tra i colpi di
scenapiù vari (insurrezioni di popolo e alterne vicende sentimentali tra i protagonisti),
giunge all'epilogo finale con la muta che si getta dentro il Vesuvio sotto gli
occhi atterriti di Alphonse ed Elvire. Rispetto alla variegata drammaturgia del
libretto di Eugene Scribe e Germain Lavigne la musica di Auber offre spunti
tematici sì interessanti con uno stile che ricorda molto quello del
contemporaneo Rossini serio e naturalmente di Donizetti e Bellini, ma non è
altrettanto efficace nei momenti in cui la tensione porterebbe a ben altri
risultati sotto il profilo della caratterizzazione dei personaggi. Sono in
particolare le pirotecniche arie belcantistiche ad affascinare, oltre che
alcuni bellissimi cori e duetti.
Va dato
merito al direttore francese Alain Guingal, maestro di grande esperienza
internazionale, che ha studiato in poche settimane la complessa partitura, di
averci regalato un'esecuzione sempre vibrante e febbrile, oltre che di
eccellente levatura ed equilibrio tra buca e palcoscenico; Validissimi
l'orchestra e il coro (forse troppo esiguo nell'organico rispetto all'impegno richiesto dall'opera), che sono stati davvero all'altezza di tale
spettacolo. Complimenti vivissimi naturalmente anche al maestro del coro Franco Sebastiani.
Operazioni
di ripescaggio di questo tipo sono all'ordine del giorno nei festival
internazionali, e non è passata inosservata la presenza del direttore artistico
del Festival della Valle d'Itria, Alberto Triola e di alcuni noti musicologi del
calibro di Giovanni Carli Ballola, Paolo Petazzi e Gianluigi Mattietti. Nel
complesso l'esito interpretativo è stato ottimo e andrebbero citati
doverosamente tutti gli interpreti che hanno dato vita ad una serata tra le più
significative nella storia recente del teatro barese. Da Maxim Mironov
(Alphonse) a Maria Alejandres (Elvire) all'attrice e danzatrice Elena Borgogni
nel difficile ruolo pantomimico di Fenella, al vocalmente esemplare Masaniello
del giovane tenore americano Michael Spyres.
Lo
spettacolo si replica (e merita senz'altro di essere visto, oltre che
ascoltato) lunedì 11, alle 20.30, mercoledì 13, alla stessa ora, e infine
venerdì 15 marzo alla 18.00.
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