Instancabile indagatore dei misteriosi rapporti
strumentali, Brahms non disdegna, al culmine della sua grandezza artistica,
quando lasua fama di sinfonista è ormai consacrata, di cimentarsi con una
formazione cameristica per lui inedita: Il Quintetto d'Archi. Fu così allora,
che dopo un tentativo compiuto in gioventù (andato però distrutto) si mise di
buona lena al lavoro. Com'è facile prevedere il Quintetto presenta al
compositore una serie di problemi tecnici, in particolare fonici, di estrema
difficoltà. L'assenza di un pianoforte, preclude la comoda soluzione di
contrapporre due masse sonore, quella degli archi e quella dello strumento
solista a tastiera.
Nel Quintetto scritto nella primavera del 1882, che
Brahms sia riuscito a risolvere tutte le problematiche ad esso connesse e ad
emulare paradigamaticamente la divina naturalezza con cui l'aveva trattato un "certo"
Mozart, non è verità assoluta. Sembra, invece, di avvertire in questa
composizione una minore lucidità, uno sfocato confronto, per esempio, rispetto
all'esattezza del Trio in Do Maggiore.
Le idee musicali, di contro, sono tra le più
gradevoli della produzione cameristica brahmsiana, mentre è nella sintassi
formale che si avverte una sorta di scollamento delle veste strumentale.
"Il Quintetto in fa maggiore op. 88 è in
complesso un lavoro lieto, soleggiato, vivace" come riteneva il compianto
musicologo Massimo Mila. Ieri sera, alla
Vallisa, con un tempo umido e piovoso,
l'Accademia dei Cameristi ha provato l'impresa titanica di metter su i due
unici quintetti brahmsiani (l'altro è quello in sol maggiore op. 111), in
collaborazione con il celebre violista Bruno Giuranna e quattro giovani dotati
strumentisti: Cecilia Ziano ed Edoardo Zosi (violini), Francesco Venga (viola)
ed Eduardo Dall'Oglio (violoncello). In particolare, i primi due citati sono
talenti purissimi e studiano il violino sin dall'età di 3-4 anni. Hanno, inoltre, vinto premi e borse di studio per andare all'estero. L'insieme dovrebbe dunque essere amalgamato ed
impastato al meglio. Nel complesso, il Quintetto op. 88 invece non funziona, o
meglio funziona poco. Sin dal primo movimento si avverte talvolta una non perfetta
intonazione degli archi ed una carenza di continuità emotiva, necessaria per
realizzare una buona esecuzione. Nel secondo Quintetto, scritto nell'estate del
1890, dopo un piacevole viaggio in Italia, di cui sembra quasi prolungare le
dilettose sensazioni, giunto quasi al termine della sua vita artistica, invece
la sensazione è che i risultati raggiunti dai giovani insieme all'anziano ma sempre
lucido Maestro, siano assai più soddisfacenti. L'amalgama e l'affiatamento
strumentale, vanno decisamente meglio, ed il quintetto vien fuori tecnicamente preciso e con una buona espressività. In particolare l'"adagio" è risultato godibile da tutti i punti di vista.
Nessun bis alla fine, come nessun accenno, nemmeno
larvato, alla scomparsa di Claudio Abbado, con cui Giuranna ha più di una volta
collaborato. Ne abbiamo chiesto ragione al Maestro, alla fine della serata. E
lui con saggio disincanto ha detto: "Ha fatto bene Riccardo Muti a
chiudere il telefonino e ha fare solo un doveroso comunicato. Con questa storia
di dualismi alla Coppi e Bartali, non se ne può proprio più...Mi fa male,
invece, vedere il la faccia di Claudio ogni giorno su Repubblica. Non mi pare
proprio una bella operazione." Il
prossimo concerto dei Cameristi è programmato per domenica mattina, 16 febbraio,
con l'atteso Duo composto da Francesca Dego (violino) e Francesca Leonardi
(pianoforte), musiche di Beethoven. Il giorno
dopo un programma intrigante con musiche dedicate interamente al Novecento, di Auerbach,
Bernstein e Shostakovich. Interpreti: Mariarosaria D'Aprile (violino), Sara
Spirito (violncello) e Maurizio Zaccaria (pianoforte).
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