Pirandello per quartetto d’archi. La voce narrante di Paolo Panaro incontra le musiche di Respighi, Lamb, Elgar, Gershwin e Shostakovich suonate da Clelia Sguera, (violino), Palma Pesce (violino), Matteo Notarangelo (viola) e Donatella Milella (violoncello) nella lettura-concerto di «Uno, nessuno e centomila», in programma dal 25 al 28 ottobre per la decima edizione della rassegna di teatro di narrazione letteraria «Le direzioni del racconto», organizzata dalla Compagnia Diaghilev in collaborazione con l’Assessorato alle Culture del Comune di Bari e il sostegno della Regione Puglia.
La lettura-concerto sarà divisa in quattro parti, ognuna delle quali andrà a costituire appuntamento a sé secondo il seguente calendario: martedì 25 ottobre, ore 21 prima parte e ore 22 seconda parte, mercoledì 26 ottobre, ore 21 terza parte e ore 22 quarta parte, giovedì 27 ottobre, ore 21 prima parte e ore 22 seconda parte, venerdì 28 ottobre, ore 21 terza parte e ore 22 quarta parte (biglietti 10 euro, info e prenotazioni 3331260425).
«Uno, nessuno e centomila» uscì a puntate nel 1926 ed è l’ultimo romanzo di Pirandello. Il protagonista, Vitangelo Moscarda, si trova impegnato in un complicato esperimento: ricostruire un’esistenza svincolata dai condizionamenti imposti dalle convenzioni sociali e affermare la sua più profonda e sincera natura mediante liberi e autentici atti di volontà. L’inizio di questa avventura è dato dal proprio naso, quando, per un’osservazione della moglie, scopre che gli pende a destra.
Il naso, da Cyrano a Gogol a Edmond About, aveva già avuto un posto di riguardo nella letteratura umoristica. Pirandello, invece, costruisce un grande romanzo, una delle opere più importanti della narrativa del Novecento. Attraverso un interminabile processo mentale, la vita di Moscarda viene sconvolta: rapporti familiari, interessi, posizione sociale, legami di amicizia. Chi è in realtà quell’individuo che la moglie dice di amare e gli amici di stimare?
Il protagonista scopre che ci sono tanti Moscarda quanto sono quelli che lo vedono, tanti quanti sono i momenti psicologici e le realtà mentali che attraversano la vita di ciascun individuo. L’uomo tenta l’allucinante ricerca di se stesso, per cogliere lo sconosciuto nella sua spontaneità, nella sua espressione più genuina. Ma l’esperimento non si ferma al puro momento conoscitivo; Moscarda vuole distruggere il vecchio se stesso, quello condizionato dalla nascita, dall’educazione, dall’ambiente. Cercherà, dunque, di cancellare l’immagine che di lui hanno tutti gli altri, a partire dalla moglie.
Dietro la tensione dialettica e la dimensione surreale si affaccia la realtà, con i suoi volti veri e le sue vicende miseramente umane. E così, la febbre raziocinante, l’inesorabile furia dialettica del protagonista fa da contrappunto alla sua vicenda concreta che ha i contorni e lo squallido sapore della vita di provincia.
Moscarda cerca di distruggere l’immagine di usuraio che aveva ereditato dal padre e si dà a compiere atti di eccessiva liberalità che gli procureranno, purtroppo, l’attestato di follia e l’interdizione, la fuga dalla moglie e il ricovero in un ospizio per anziani.
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