Attesissimo appuntamento, giovedì 31 marzo, con porta alle ore 20,45 e
inizio alle ore 21,15 con uno spettacolo divertente e intenso e sull’onda dello straordinario successo con
cui è stata accolta da critica e pubblico nelle prime tappe italiane, Serena
Autieri arriva in tour a Barletta, con il suo "One Women Show “La Sciantosa - ho
scelto un nome eccentrico”, spettacolo scritto da Vincenzo Incenzo e diretto da
Gino Landi, insieme al Quintetto Eccentrico Italiano. “Ho voluto rileggere in
chiave nuova ed attuale il caffe chantant - racconta Serena -con un lavoro di
ricerca e rivalutazione nel repertorio dei primi del ‘900, da brani più
conosciuti e coinvolgenti, quali nascoste come Serenata napulitana e Chiove, oggi ascoltabili solo con il
grammofono a tromba. ‘A tazz’ e cafè e Comme facette mammeta sino a perle Tra una rima recitata e una lacrima intendo riportare al
pubblico quelle radici poetiche e melodiche ottocentesche e quei profumi arabi,
saraceni e americani che Napoli ha ruminato e restituito al mondo nella sua
inconfondibile cifra.Ho voluto fortemente mantenere il clima provocatorio e
sensuale di quei Caffè, e ricreare in teatro quel rapporto senza rete con il
pubblico, improvvisando, battibeccando, fino a coinvolgerlo spudoratamente
nella “mossa”, asso nella manica di tutte le sciantose". Vincenzo Incenzo
, autore dello spettacolo, così spiega al pubblico il suo spettacolo: Incontrare
la sciantosa e il suo “nome eccentrico” vuole dire aprire un baule magico con
un immenso tesoro dentro. Vuole dire tuffarsi anima e corpo nell’oceano della
tradizione classica e allo stesso tempo abbracciare le radici della modernità.
‘A tazz’ e cafè, Comme facette mammeta, I’ te vurria vasà, prima di essere
meravigliose canzoni sono testimoni e sentinelle di un mondo e di un’epoca da
proteggere, di un tempo e di uno spazio in cui germogliano i princìpi tutti
della cultura dello spettacolo che verrà. Serena Autieri entra a schiaffo, con
i panni di Pulcinella nei luoghi e nei codici del caffè concerto e del varietà,
ed è subito Napoli, arte di arrangiarsi, gioia e disperazione, mare romantico e
vulcano incandescente. E’ guerra, colera, miseria ma è anche resurrezione,
sorriso, amore.
Poi, via la maschera, e d’incanto Napoli è femmina. Una “mossa”, una rima
recitata, una lacrima, ed eccole, quelle radici poetiche e melodiche
ottocentesche e quei profumi arabi, saraceni, americani che ‘o paese d’’o sole,
crocicchio di riferimenti locali e stimoli provenienti da ogni latitudine, ha
ruminato e restituito al mondo nella sua inconfondibile cifra. Il pretesto
dello spettacolo è la prima grande protagonista di quel mondo, Elvira
Donnarumma, “a capinera napoletana”, colei che sovvertì le regole
dell’apparire; bassina, tarchiata, ma con una voce che toccava le corde
dell’anima. Colei che raccolse i fiori sul palco di Eleonora Duse e Matilde
Serao, che rifiutò per spirito patriottico il contratto in Germania, che sfidò
la sua malattia ogni sera fino alla morte pur di non abbandonare il pubblico;
lei che avvolta dalla bandiera italiana, in precario equilibrio e con gli occhi
pieni di lacrime, cantò “Addio” davanti a tutta Napoli che la acclamava.
Serena Autieri legge Donnarumma in controluce, sdoganandone la fisicità,
recuperata attraverso il gesto e la parola, in un’ora e mezza di spettacolo
senza rete, sola sulla scena, attraversata dalla cometa elegante di un mimo
ogni tanto a cadenzare il flusso narrativo. Fuori e dentro, dentro e fuori,
Serena gioca con il suo personaggio, lo presenta, lo incarna, lo lascia, lo
riprende. La realtà feconda la finzione e viceversa in un gioco delle parti
vertiginoso ed esilarante. La scena fa il resto. Una finestra che s’illumina
nella notte, lo sciabordìo di onde in lontananza, una nave in partenza, valige
sul molo. Oggetti e proiezioni evocano i momenti. Tutto viene restituito a una
lettura contemporanea mentre batte un cuore antico.
C’è il vicolo, la scalinatella, ma c’è anche il futurismo, le camice nere, il
Ballo Excelsior, l’avvento della radio. Quadri come suggestioni, tagliati da un
disegno luci che evoca più che dichiarare e musicisti che riportano nostalgie e
profumi del tempo. Ma il palco non basta, e allora Serena scende tra il
pubblico, e lo spettacolob da qui in poi ogni sera è a soggetto.
Il muro di
Diderot cade (una lezione valida dai tempi di Plauto), e con il muro la
sospensione del dubbio esistente tra finzione e realtà. Gli spettatori
diventano parte attiva e memoria di quello che fu, allo stesso tempo. Una sorta
di non-sequitur visuale, dove la rottura della convenzione scatena la comicità.
Risate, lacrime, riflessioni. Il pubblico è preso a schiaffi e carezze, come
quel Pulcinella in incontinenza verbale magistralmente interpretato da Serena a
inizio spettacolo, metafora vivente e straordinariamente attuale
dell’accavallarsi folle di parole del nostro tempo.
E’ cafè
chantant ma è anche talent show di oggi, perché cambiano i codici ma non il
messaggio. E’ sguardo critico al presente, allo strapotere dell’immagine
tritatutto, alla mai troppo considerata meritocrazia, ai valori al tramonto di
patria e di famiglia. Ma è soprattutto amore, identità, rivendicazione. E
passato che guarda al futuro.