La attualità mi spinge, la attualità mi opprime, ma non mi obbliga, sennonché il tributo è dovuto…
Avrete capito che parlerò di Whitney, la predestinata, come venne definita a metà degli anni ottanta. Cugina di Dionne Warwick e figlioccia della enorme Aretha Franklin, le due più grosse dominatrici della scena black female artists ( ben potendo togliere anche l’aggettivo black), ma ella stessa dotata di polmoni e vita autonoma, bellissima, meravigliosa, anche nel suo modo di porgersi, aveva tutto ( e questo lo si mi consenta, senza amor di polemica, nei confronti di chi, nel mondo, e sono tanti, tanto la ha amata). Quand’anche, avendo il mondo ai suoi piedi, volle fare cinema, lo fece più che decorosamente, giovandosi della grande spalla recitativa di un Kevin Costner, anch’egli ai massimi fulgori, prima che anche lui cadesse in disgrazia, questa volta per storie non proprio edificanti e raccomandabili.
Whitney è, semplicemente, la risposta femminile “nera” megapop degli anni ’80, dominata dalle madonne e madonnare bianche, mille e mille volte meno talentuose, ma più forti dentro e con la mentalità della industria e col sentimento forse pari al vecchio banchiere J.P.Morgan, il quale si diceva fosse disposto a vendere la propria madre per fare un affare.
Whitney, ovviamente, non era tutto questo e traspariva sempre, fin dai tempi del suo fulgore, quasi una vampata improvvisa. Negli anni compresi tra il tardo 1985 ed il 1991 aveva il mondo ai piedi. Vorrei solo citare due esempi: la sua versione di Stars & Stripes, cantata live al Superbowl, entrò in classifica e vi rimase settimane e settimane, cosa unica per un inno nazionale.
Eppoi, quando, nel corso della Guerra del Golfo, nel 1991, si recò, pretesa, osannata, coccolata e portata in trionfo dalle truppe ( in cui militavano parecchi uomini e donne di colore), come, forse, solo la Monroe potè, prima di lei, fare.
Due soli dati per giustificare la sua grandezza: sette singoli consecutivi ( tutti quelli che conoscete) al numero uno di Billboard, la numero uno delle charts americane ( e mondiali), superando il record di cinque dei Beatles e di Diana Ross, colei che la premiò, al suo primo Grammy vinto, nel 1986. Insieme a Michael Jackson è, ovviamente, il più importante testimonial nero della musica pop, oltre a quello a detenere il maggior numero di copie vendute, solo negli Usa 55 mln e nel Mondo, si presume, circa 170 mln di copie vendute.
Non può esser, dunque, una boccetta di Xanax, trovata vicino alla vasca da bagno in cui è stata trovata morta, a distruggere il mito e la grandezza di una figura mirabile. Spero che ci si ricordi solo della sua mirabile bellezza e dei suoi 13 album, di cui 7 di inediti, oltre che di quei sette singoli d’oro, null’ altro…..null’altro voglio….arrivederci lassù ( se ne saremo degni) Whitney, regina di un mondo che non c’è più…..
Quest' opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported.
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