Le atmosfere da café-chantant, sulle musiche di Strauss, Lehàr, Lombardo e Offenbach, rivivono nel clima da Belle Époque di «Mi chiamano Frou Frou», deliziosa incursione nel TeatrOpera del soprano Maria Grazia Pani, che è ideatrice e tra gli interpreti dello spettacolo, del quale cura anche drammaturgia e regia.
La musica è allegria col teatro champagne dell’Agìmus che, domenica 28 febbraio (ore 19.30), al Teatro van Westerhout di Mola di Bari, apre le Stagioni 2016 inserite nella rete Orfeo Futuro con la sezione «Inverno» comprendente «The BumbleeBeetles», miscela esplosiva, traBeatles, barocco e Dario Fo, firmata dal quartetto Dual Band (12 marzo), e la «Bohème» di Puccini rivisitata con «Scénes de la vie de Bohème» dal Conservatorio di Monopoli (19 marzo). Info 368.56.84.12.
Diretta da Piero Rotolo con il sostegno della Regione Puglia e del Comune di Mola di Bari e il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Puglia, la rassegna si inaugura, dunque, con uno spettacolo tratto dal libro «TeatrOpera», «uno scrigno di perle» elaborato da Maria Grazia Pani per Florestano Edizioni con l’obiettivo di rendere più accessibile al pubblico d’oggi il melodramma e il teatro musicale.
«Mi chiamano Frou Frou» si propone, infatti, di coinvolgere direttamente gli spettatori nel mondo sentimentale e ironico dell’operetta, al centro del quale c’è una giovane ballerina e chanteuse interpretata dall’attrice Giusy Frallonardo. Brani da «La Vedova allegra», «Il Paese dei Campanelli», «Il Pipistrello» e «Sangue viennese» fanno da colonna sonora all’ambientazione parigina dei primi del Novecento nella quale, con la stessa Maria Grazia Pani, si calano anche il baritono Giovanni Guarino, i soprani Maria Cristina Bellantuono e Rosanna Di Carolo e il basso Alberto Comes, con Raffaella Migailo al pianoforte (luci di Enrico Romita, scene e costumi di Giuseppe Bellini).
Modalità scenica creativa, che interviene sulla stessa struttura del melodramma, il progetto TeatrOpera di Maria Grazia Pani (nella foto), del quale si possono intravvedere le prime modalità di realizzazione già una quindicina d’anni fa con gli spettacoli dedicati al compositore barese Niccolò Piccinni e a Giuseppe Verdi, nasce, dunque, dal desiderio di rendere maggiormente fruibile l’opera lirica nella società contemporanea creando una sintesi tra melodramma, testo in prosa, danza, musica e colore scenico. L’essenza diventano i personaggi, i cantanti, la trama, la musica, «mentre il resto è sovrastruttura, pesante, immobile, paludosa», come spiega la stessa Pani.
Tra l’altro, i personaggi di «Mi chiamano Frou Frou», grisette, nobildonne e gentiluomini del pruriginoso e romantico mondo della borghesia francese fin de siècle, dialogano con il pubblico, «compromettendo» gli spettatori nelle loro storie, tra giri di valzer e ventagli di piume, nel tipico clima da café-chantant. Tutto accade intorno al 1893, da Chez Maxim, luogo di perdizione e facili amori, dove la giovane protagonista, ballerina un po’ svampita e ciarliera, ma amabile e seducente, pur corteggiata da uomini ricchi che la ricoprono di gioielli e pellicce, s’innamora di un giovane fornaio dopo varie esperienze nel mondo edulcorato dell’operetta.
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