martedì 19 giugno 2012
Le "Nobilissime Visioni" del Ravenna Festival 2012
Il percorso tematico di Ravenna Festival 2012 prende avvio da un nucleo centrale, un ‘cuore’, rappresentato dal millenario della fondazione del Sacro Eremo di Camaldoli ad opera di Romualdo di Ravenna. “Un cuore solo e un’anima sola”: questo il precetto fondamentale trasmesso dalla prima comunità di Gerusalemme, divenuto nei secoli modello ideale per la vita comune in ogni monastero, che ci porta a riflettere sul significato storico del monachesimo, sia occidentale che orientale, ma anche sulla sua apparentemente inattuale attualità. È anche l’occasione per raccontare una Ravenna assai meno nota rispetto ai fasti dell’Impero Romano d’Occidente, ma forse non meno straordinaria, quella appunto di Romualdo e dei suoi monaci, di Sant’Adalberto o di Gerberto di Aurillac (papa Silvestro II), in cui la “dolce ansietà d’oriente” (Montale) diventa vero e proprio straordinario progetto culturale e laboratorio dell’Europa.
Questa storia oscura e nello stesso tempo luminosa viene rievocata dal silenzio che l’avvolge (e la custodisce) attraverso la possibilità di ascoltare musiche di varia provenienza che ricompongono vicende sia umane che storiche e spirituali di grande importanza. Si va dal medioevo dell’ensemble Eloqventia ai millenari canti baltici dell’estone Ensemble Heinavanker, dalle voci norvegesi del Trio Mediæval ai canti della Chiesa Ortodossa Russa del Coro Ortodosso Maschile di Mosca, diretto da Georgij Smirnov. Da sottolineare un confronto tra le musiche sacre barocche del camaldolese Orazio Tarditi (ordinato monaco proprio a Ravenna), proposte dalla Stagione Armonica diretta da Sergio Balestracci e quelle, sempre barocche, dell’Est europeo, interpretate dall’ensemble strumentale Il Suonar parlante di Vittorio Ghielmi. La raffinatissima tradizione del canto spirituale sufi ‘Ghazal’ sarà invece proposta dalla cantante uzbeka Monâjât Yulchieva.
Dalla musica alla parola, dal fatto artistico alla riflessione condivisa. Per approfondire il tema che il Festival si è dato sono stati programmati una serie di incontri con alcuni dei più significativi e importanti uomini “di pensiero e di fede” del nostro tempo. A partire da Alessandro Barban, priore generale dei monaci camaldolesi, chiamato in apertura a introdurre il pubblico alla “Nobilissima Visione” tradotta nell’attualità di una riflessione su “Contemplazione, profezia e libertà”. Indagare i legami tra “Monachesimo e società civile” spetterà a Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose, che egli stesso ha fondato alla fine degli anni Sessanta nel segno del dialogo tra le differenti culture cristiane. E infine toccherà a Massimo Camisasca interrogarsi su “Natura e silenzio nell’esperienza monastica e nella nostra vita oggi”.
Seguendo i sentieri spirituali del monachesimo non si poteva non giungere nel Paese delle Nevi, il Tibet, paese teatro da decenni di vicende che ne mettono a repentaglio la stessa identità culturale ed esistenza. Al di là dell’enorme distanza geografica, stretto è il legame con la celebrazione del monachesimo camaldolese, sappiamo infatti che il vero riformatore del buddhismo tibetano fu Atisa, celebre monaco indiano pressoché contemporaneo di Romualdo, che rimise in vigore le esigenze e le regole della vita monastica. Nel Tibet, dove l’attenzione per il sacro è continua anche al di fuori delle cerimonie, la vita quotidiana appare – con sorprendenti analogie con la regola benedettina - fortemente ritualizzata ed i gesti dei monaci sono fondati su una contemplazione attiva che rende visibile la divinità per l’officiante. ‘7 giorni in Tibet’ è una densa settimana di appuntamenti che cercherà di offrire un’immagine non superficiale o ‘esotica’ di una terra di millenarie tradizioni e che fino al 1950 era riuscita miracolosamente a mentenere intatto quello straordinario patrimonio spirituale che è il buddhismo tibetano, che si era sedimentato in migliaia di monasteri, in gran parte andati distrutti nel corso dell’occupazione cinese. Il 13 marzo 2012, nel corso di una udienza ufficiale, il progetto è stato presentato a S.S. Dalai Lama Tenzin Gyatso, nella sua residenza a Darhamsala, nel Nord dell’India. La massima guida spirituale del buddhismo tibetano ha non solo ‘benedetto’ la dedica del Festival al Tibet (e non solo, anche al monachesimo tutto) ma ha anche favorito la presenza a Ravenna, durante l’arco dell’intera settimana, di dieci monaci tibetani provenienti dal monastero Drepung Loseling (uno dei più antichi del Tibet, attualmente situato nel sud dell’India) che diverranno così l’elemento portante della programmazione (una sorta di filo amaranto, come il colore delle vesti dei monaci). Questa vera e propria ‘settimana tibetana’ vedrà i religiosi impegnati a partire dal solenne concerto iniziale (5 luglio), nei Giardini di San Vitale, un rito-concerto nel corso del quale agli antichi canti ed ai mantra dei monaci si unirà la voce di Ani Choying Drolma, suora buddhista tibetana (ma proveniente dal Nepal), che ha già incantato decine di migliaia di persone nel mondo grazie ai suoi concerti e ai suoi video su You Tube. Nella giornata successiva poi avrà inizio il grande rito del mandala, presso la Biblioteca Classense, che si concluderà l’11 luglio, con una suggestiva cerimonia (e le sabbie variopinte di questa mistica raffigurazione di significato propiziatorio verranno poi disperse nelle acque del mare). Ancora i monaci saranno protagonisti di una rappresentazione di danze sacre che permetterà al pubblico del festival di partecipare, nella cornice del Teatro Alighieri, a un evento molto particolare, a cui è normalmente molto difficile poter assistere. La magia e il misticismo dei riti buddhisti tibetani, con il caratteristico canto difonico e gli ipnotici drones potrà poi ispirare i concerti di alcuni musicisti che sono stati invitati, come Stephan Micus (lo straordinario vocalist e polistrumentista che ha contribuito a rendere leggendaria l’etichetta ECM), Markus Stockhausen che ricreerà il visionario paesaggio sonoro di un tibet elettronico, e la cantante dhrupad Amelia Cuni, e si potrà anche assistere ad un inedito confronto tra il canto rituale dei monaci tibetani con quello che è stato il canto per eccellenza della cristianità, ovvero il gregoriano, il tutto immerso nel sapiente live electronics di Luigi Ceccarelli.
Nella solitudine ventosa di cime e balze (come quelle di Verghereto, altro romitaggio romualdiano) “si colgono messaggi tenui, sottili, sconvolgenti, si avvertono comunicazioni enigmatiche e gravi, si provano arcane emozioni, ribelli alle parole, che tramutano chi le prova” (Elémire Zolla). Nel corollario tematico del festival non potevano mancare percorsi paralleli come quello della ‘montagna’ e del ‘bosco’, che saranno interpretati dal Coro della SAT (l’indiscussa eccellenza in questo ambito) e da un progetto speciale elaborato dalla musicista e cantante Luisa Cottifogli - “Come alberi d’inverno” - ospitato nell’antica Pineta di Classe (che è giunta fino ad oggi anche grazie alle secolari cure dei monaci camaldolesi, pii anticipatori della green economy) riproponendo quella formula del Concerto Trekking che tanto successo ha riscosso nelle ultime edizioni del festival.
Le Nobilissime Visioni che danno il titolo all’intero cartellone riportano all’omonimo balletto di Paul Hindemith che sarà affiancato al suo indiscusso capolavoro espressionista, Sancta Susanna, entrambi affidati alla direzione di Riccardo Muti, in buca la Cherubini. L’intensa serata dedicata a Hindemith, musicista tra i più grandi e meno conosciuti del ‘900, si aprirà con la nuova creazione di Micha van Hoecke sulle musiche composte tra il 1937 e il 1938 dallo stesso Hindemith (la Suite per orchestra dal balletto Nobilissima visione) e ispirate dalle Storie di San Francesco affrescate da Giotto nella Cappella Bardi della Basilica di Santa Croce a Firenze. Nobilissima visione è una tappa di un cammino artistico e spirituale orientato verso uno stile accademico e neobarocco, votato a un progressivo ascetismo percorso da intenzioni socialpedagogiche, che Hindemith aveva maturato sin dal Marienleben, le liriche dedicate alla vita della Madonna composte nel 1922 subito dopo la scandalosa Sancta Susanna opera in un atto, di ambientazione cupamente claustrale, su testo del poeta August Stramm. Il tema delle monacali solitudini, delle estatiche visioni tra mistici rapimenti e transe viene potentemente evocato dalla Sancta Susanna, uno degli spartiti più arcani del Novecento, con un’aura maudit che lo colloca di diritto nell’enfer del repertorio operistico. Scritto prima che scoppiasse la Grande Guerra e dopo la morte sul fronte russo di Stramm, Sancta Susanna ci parla di quel fragoroso ‘silenzio di Dio’ che tanta parte ebbe nella mitologia nordica, di cui l’Espressionismo tedesco è così radicalmente impregnato. La regia della Sancta Susanna, coprodotta con il Teatro dell’Opera di Roma, sarà firmata da Chiara Muti. Attorno a Nobilissima Visione discuteranno, il 7 luglio al Teatro Alighieri, Riccardo Muti e Massimo Cacciari, prendendo a pretesto l’opera di Hindemith e la figura del Poverello d’Assisi, converseranno sul misticismo, la potenza dell’arte, il rapporto tra fede e chiesa.
Dopo la straordinaria anteprima di aprile con il concerto della Chicago Symphony Orchestra diretta da Riccardo Muti e l’appuntamento a maggio con il concerto inaugurale di Allegromosso 2012 affidato all’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini (significativamente integrata da altri giovani strumentisti provenienti dalle scuole di musica europee) diretto da Wayne Marshall la programmazione sinfonica del Festival prosegue a giugno con l’americano Dennis Russell Davies che dirigerà l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini in un appuntamento che proporrà musiche del grande compositore estone contemporaneo Arvo Pärt, che sarà presente al concerto dopo averne seguito le prove, Lamentate per pianoforte e orchestra (composizione del 2002 dedicata alla scultura “Marsyas” dell’artista indiano Anish Kapoor) assieme a The Planets di Gustav Holst. La musica contemporanea è infatti una delle molte anime insite nella vocazione multidisciplinare di Ravenna Festival. Jazz, elettronica e molto di più, fino ad arrivare ad una delle più influenti correnti musicali del Novecento il ‘minimalismo’ che il Festival ha affrontato attraverso uno dei suoi maestri assoluti: Steve Reich. Il compositore newyorchese sarà al centro di una intensa due giorni: nella prima incontrerà il pubblico, sollecitato da Franco Fabbri, per parlare della propria particolarissima estetica compositiva; mentre Il giorno seguente, al Palazzo Mauro De André, il PMCE-Parco della Musica Contemporanea Ensemble eseguirà due suoi capolavori, ovvero ‘Tehillim’, per voci ed ensemble (1981) e ‘City Life’, per ensemble amplificato (1995). Pietro Borgonovo dirigerà poi la Cherubini assieme al Chicago Children’s Choir (musiche di Schubert e Bernstein) mentre il grande direttore russo Yuri Temirkanov tornerà al festival con l’Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo. In chiusura, ancora Riccardo Muti, sul podio della “Cherubini” con l’Orchestra Giovanile Italiana, sarà protagonista di un suggestivo Concerto delle Fraternità che alla tradizione colta occidentale (Brahms, Haydn, Mozart) intreccia le voci delle più diverse religioni.
Le forme più avanzate e sperimentali di ricerca nell’ambito sia del suono che dell’immagine troveranno poi ancora una volta espressione nella rassegna “Weird Tales”, organizzata in collaborazione con Bronson Produzioni. Due gli appuntamenti previsti per il 2012, sempre alla Rocca Brancaleone, il primo vedrà la collaborazione, ‘predestinata’, tra due visionari dell’espressione artistica: Ben Frost e Yuri Ancarani. Il videomaker ravennate Yuri Ancarani dopo “Il capo” (premiato, tra i tanti, ai festival di Barcellona, Parigi e Wroclaw) cercava una colonna sonora veramente speciale per il nuovo mediometraggio, “Piattaforma Luna”, primo film prodotto da Maurizio Cattelan e presentato con grande successo al Festival di Venezia. L’occasione gliela fornisce l’australiano (ma residente in Islanda) Ben Frost, personaggio chiave della scena musicale sperimentale mondiale che può vantare l’ambita stima di un personaggio leggendario come Brian Eno. Il secondo sarà l’occasione per ascoltare, in esclusiva per l’Italia, Edward Sharpe & The Magnetic Zeros, band statunitense caratterizzata da un sound originalissimo che richiama con evidenza una fusione di Parliament, Polyphonic Spree, Bob Marley e Incredible String Band. Edward Sharpe & The Magnetic Zeros sono una truppa indie-rock di undici personaggi che si ispira fortemente alle comunità musicali spontanee che sorgevano nelle piccole cittadine della California – la famosa scena di Laurel Canyon – tra gli anni Sessanta e Settanta.
La danza, anche nelle sue espressioni più contemporanee, si è guadagnata negli ultimi anni sempre più spazio all’interno del festival, grazie anche ad un pubblico sempre più numeroso, attento ed esigente. Quest’anno saranno tre le nazioni protagoniste: Stati Uniti, Brasile e Francia. Shen Wei, direttore artistico e coreografo della newyorkese Shen Wei Dance Arts, oltre ad essere affermato pittore, designer, regista e fotografo, miracolosamente in bilico tra Oriente e Occidente, è famoso per l’originale visione interculturale e interdisciplinare delle sue invenzioni coreografiche. A Ravenna proporrà due delle sue migliori creazioni come “Near The Terrace” (ispirato ai quadri del pittore surrealista belga René Magritte) e la sua personalissima ‘lettura’ del capolavoro stravinskiano “Rite Of Spring”. Cedar Lake Contemporary Dance, la compagnia fondata nel 2003 da Nancy Laurie, rappresenta una delle più dinamiche ed innovative realtà della danza statunitense e proporrà: Violet Kid (prima italiana), del nuovo astro nascente della danza israeliana Ofesh Shechter, Ten Duets on a Theme o Rescue di Crystal Pite, canadese cresciuta con Forsythe, Necessity Again coreografia in prima europea - sulle musiche di Charles Aznavour – del norvegese Jo Strømgen. Il coreografo e danzatore francese Mourad Merzouki, che dirige dal 2009 il Centre Chorégraphique National de Créteil ed ha fondato nel 2006 la compagnia Käfig coniugando l’hip hop con altri linguaggi della danza contemporanea, proseguendo la collaborazione con 11 danzatori di Rio de Janeiro - dopo il grande successo incontrato da Correria e Agwa - presenterà al Festival in prima italiana (dopo il debutto a Montepellier Danse) il nuovo spettacolo Käfig Brasil, firmato da coreografi brasiliani e francesi sotto la sua supervisione. Non poteva mancare la danza classica con un Gran Gala affidato ai solisti di uno tra i corpi di ballo europei più blasonati: quello dell’Operà National de Paris.
Con “Brasil in jazz” si vuole rendere omaggio, innanzitutto, ad una figura leggendaria della musica brasiliana: Egberto Gismonti. La ‘due giorni’, che riporta ancora una volta il grande jazz alla Rocca Brancaleone, è un vero e proprio ‘focus’ dedicato a questo compositore e polistrumentista figlio di una siciliana e di un libanese, e con un background classico di tutto rispetto (Gismonti si è formato a Parigi con Nadia Boulanger e Jean Barraqué). Il percorso artistico di Gismonti testimonia come quella del Brasile sia una cultura composta di tradizioni musicali diverse e varie, fatta anche di choro, frevo, baião e forró, riuscendo a unire in una sintesi del tutto originale la tradizione musicale degli indiani dell'Amazzonia con la musica classica. Il focus ripropone sodalizi “storici” come quello con il percussionista Nana Vasconcelos, colui che ha fatto conoscere al mondo il berimbau, di cui è straordinario virtuoso e la cui carriera è costellata di collaborazioni prestigiose che vanno da Don Cherry a Gato Barbieri. Nella seconda serata a Gismonti si aggiungono Hamilton de Holanda e il Trio Madeira. Come Egberto Gismonti, Hermeto Pascoal e Astor Piazzolla, Hamilton si allontana dallo stile tradizionale utilizzando un approccio più jazzistico, ma mantenendo la forza espressiva dei grandi. La sua musica è sempre innovativa, il suo carisma, la forza comunicativa e un tocco impeccabile e pieno di creatività fanno di Hamilton uno dei musicisti di più grande rilievo nella nuova generazione di interpreti e compositori della musica contemporanea brasiliana. Considerato uno dei più famosi gruppi di musica strumentale brasiliana dell’ultimo decennio, Trio Madeira nasce dall’incontro inevitabile di tre virtuosi di Rio de Janeiro: Zé Paulo Becker, Marcello Gonçalves e Ronaldo do Bandolim. Ricchi di percorsi ed esperienze diverse, i tre musicisti si riuniscono intorno a un progetto artistico ambizioso: quello di suonare il Choro in maniera sofisticata e calorosa, grazie a un’interpretazione che unisce il popolare al colto.
Palazzo San Giacomo a Russi sarà la suggestiva cornice di un lungo weekend dedicato alle espressioni della musica popolare di diversi aree geografiche del globo. Nel progetto “Vola vola vola” alcune delle più famose canzoni di Francesco De Gregori (assieme a ‘classici’ della tradizione popolare italiana), con la complicità di Ambrogio Sparagna, vengono reinterpretate dall’Orchestra di Musica Popolare dell’Auditorium di Roma con gli strumenti tipici della musica folk nazionale. La seconda serata è all’insegna della Taranta Nera ed ha come protagonisti Officina Zoé ed alcuni straordinari musicisti africani. Due luoghi del Sud del Mondo entrambi depositari di tradizioni millenarie fondate sulle forme artistiche umane più semplici e quindi più profonde: le voci e le percussioni. Le voci come comunicazione ed espressione: così come le voci dei griot portano le notizie nei villaggi sperduti della savana, i canti di lavoro delle donne salentine scandiscono il duro lavoro nei campi. Le percussioni come battito vitale della terra e delle cerimonie: così come i tamburi africani fungono da veicolo di comunicazione e di transe nelle cerimonie tribali, il battito del tamburello salentino scandisce da tempi immemori le cerimonie di guarigione dal morso della taranta e portano fino a noi i ritmi dei riti dionisiaci. Un incrocio al Sud quindi, per un incontro originale e coinvolgente in cui la pizzica tarantata incontra i ritmi africani, la frenesia dei tamburelli dialoga con il talking-drum, il canto griko si fonde con la tradizione orale dei griot del Mali. Grandi protagonisti della musica dell’Africa subsahariana concludono questa breve ma intensa rassegna: Kareyce Fotso, polistrumentista del Cameroun, Dobet Gnahoré, “la dea nera”, cantante, danzatrice e percussionista ivoriana dalla straordinaria forza delle tradizioni “bété” e Aly Keïta, virtuoso suonatore di balafon maliano, già compagno di avventure sonore di Joe Zawinul.
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