"La standing ovation, gli applausi infiniti, le grida di «Claudio, Claudio!». Un’emozione che Milano aspettava dal 1993.
Dal 1986, se si ritorna agli anni della direzione stabile di Claudio Abbado alla Scala. Alla fine, dietro le quinte, l’omaggio di una piccola scultura di Pomodoro da parte della sua Filarmonica, l’orchestra che fondò trent’anni fa. Ma il senso della serata di ieri, quella del Gran Rientro alla Scala, in programma il Concerto per pianoforte numero 1 di Chopin con Daniel Barenboim alla tastiera e la Sesta Sinfonia di Gustav Mahler, sta tutta in uno sguardo. Verso l’alto: è lì che si rivolge Abbado, di nuovo sul podio del Piermarini, alla guida della Filarmonica della Scala e della Mozart di Bologna. Guarda verso les enfants du paradis, come li avrebbe chiamati Marcel Carné, quelli che vengono a teatro e ai concerti perché della musica non possono fare a meno, che si accontentano dei posti meno comodi anche quando la durata di una sinfonia, com’è stato il caso di ieri, veleggia sugli ottanta minuti. Veterani che ormai non ci speravano più, ragazzi che Abbado finora l’avevano sentito nei dischi e visto su YouTube. Maria Chiara è arrivata con la nonna abbonata, è la seconda volta che lo sente, la prima alla Scala: «È una serata diversa da tutte, la nonna è emozionatissima, a me fa effetto vedere due grandi personaggi fianco a fianco, lui e Barenboim».
Dal 1986, se si ritorna agli anni della direzione stabile di Claudio Abbado alla Scala. Alla fine, dietro le quinte, l’omaggio di una piccola scultura di Pomodoro da parte della sua Filarmonica, l’orchestra che fondò trent’anni fa. Ma il senso della serata di ieri, quella del Gran Rientro alla Scala, in programma il Concerto per pianoforte numero 1 di Chopin con Daniel Barenboim alla tastiera e la Sesta Sinfonia di Gustav Mahler, sta tutta in uno sguardo. Verso l’alto: è lì che si rivolge Abbado, di nuovo sul podio del Piermarini, alla guida della Filarmonica della Scala e della Mozart di Bologna. Guarda verso les enfants du paradis, come li avrebbe chiamati Marcel Carné, quelli che vengono a teatro e ai concerti perché della musica non possono fare a meno, che si accontentano dei posti meno comodi anche quando la durata di una sinfonia, com’è stato il caso di ieri, veleggia sugli ottanta minuti. Veterani che ormai non ci speravano più, ragazzi che Abbado finora l’avevano sentito nei dischi e visto su YouTube. Maria Chiara è arrivata con la nonna abbonata, è la seconda volta che lo sente, la prima alla Scala: «È una serata diversa da tutte, la nonna è emozionatissima, a me fa effetto vedere due grandi personaggi fianco a fianco, lui e Barenboim».
Con i teenager, naturalmente, anche autorità e volti noti, tutta Milano in gran soirée (ma senza l’abito di gala: del resto neppure l’orchestra, neppure i due maestri oggi hanno frac e code). Il sindaco Pisapia con la moglie, in platea e non nel palco reale. Elsa Monti in forma strettissimamente privata, con Bruno Ermolli che le fa da chaperon e che si compiace, «perché in questi giorni la Scala è davvero mondiale, tra Abbado, Chailly che è pure qui in sala, e Dudamel, ed Esa-Pekka Salonen che ha diretto per il Fai». Tante facce degli anni “del Claudio”: Inge Feltrinelli, «felice che si festeggino, insieme, i settant’anni di Barenboim e la ricomparsa di Abbado», Valentina Cortese, Carla Fracci. Fabio Fazio che ricorda come, «purtroppo, il maestro in questi giorni abbia sofferto il lutto della scomparsa della sorella: ma ha tutta Milano che l’abbraccia». E poi Giovanni Bazoli, Piergaetano Marchetti, Diana Bracco, e, da Torino, Gabriele Galateri di Genola, Evelina Christillin e il maestro Juraj Valcuha.
Prima, c’era stata una corsa ai biglietti frenetica, con tentativi disperati di imbucarsi alle prove: le prime, blindatissime, nella sala “da lavoro” della Scala, poi due in teatro, domenica e lunedì. Ieri sera alle otto, infine, l’entrata in scena ufficiale, preceduto di pochi passi da Barenboim, e il pubblico subito tutto in piedi, e i vecchi spettatori che si commuovono a vederlo così magro, così rimpicciolito, rispetto all’immagine trionfante che ne conservavano degli Anni Settanta-Ottanta, ma basta che prenda la bacchetta ed eccolo lì quel gesto ineguagliato. Con Barenboim si intreccia un bel gioco di sguardi, di sorrisi, fra due che si conoscono da quando erano ragazzi e che adesso, arrivati alla vecchiaia, mettono a confronto due modi autonomi, eppure così simili, di far musica.
Alla fine della prima parte Barenboim si schermisce: «Questa sera è tutta sua, del mio amico. Di bis ne farei due, tre, ma non sarebbe giusto». E dopo l’intervallo ecco la Tragica, un concentrato di cultura mitteleuropea. Poi non lo lasciano andare per decine e decine di minuti, e c’è qualcuno che piange." * (Fonte: "La Stampa", Egle Santolini, 31 ottobre 2012) .
Complimenti ad Egle Santolini della Stampa di Torino!
RispondiEliminacommovente leggere queste righe!
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