Un «Erodiade» dal sapore particolare e fortemente contemporaneo, il dramma musicale che il compositore Giovanni Tamborrino, premio Abbiati per la migliore opera prima del 2012, mette in scena lunedì 23 settembre 2013 alle ore 20,00 nell’Auditorium Diocesano Vallisa di Bari per la Rassegna Notti Sacre. Uno spettacolo da non perdere, che attraverso il testo di Giovanni Testori, ci interroga tutti sull’amore violento, possessivo e demoniaco. Un tema purtroppo reso attuale dai tanti femminicidi che riempiono le pagine della nostra cronaca quotidiana.Un’opera godibilissima e sorprendente soprattutto sul piano musicale.
Con «Erodiade» il compositore pugliese tocca il tema della violenza sulle donne, sul quale nei giorni scorsi è intervenuto il Governo varando il cosiddetto Decreto legge sul femminicidio. «È un’emergenza sociale - dice l’artista - perché non c’è giorno in cui non sentiamo notizia di una donna uccisa, malmenata, stuprata. Siamo di fronte alla violenza dell’amore che vuole a tutti i costi, ormai responsabile di un genocidio che pare inarrestabile». Ed è con un paradosso che Tamborrino sceglie di affrontare l’argomento mettendo in musica la storia di Erodiade, non solo vittima, in quanto suicida nel monologo che Testori scrisse nel 1967 ispirandosi alla «Salomé» di Oscar Wilde, cui si era rifatto anche Richard Strauss per l’omonima opera lirica. Erodiade è, infatti, carnefice di Giovanni Battista, l’uomo dal quale è stata respinta e che, una volta rifiutata, ha fatto decapitare.
«Nella mia versione - racconta Tamborrino - in scena ci sono solo artiste in rappresentanza di tutto il genere femminile, che paga il conto di una società malata». «Erodiade - La violenza dell’amore che vuole», questo il titolo completo dell’opera, con il disegno registico affidato a Francesco Tammacco, prevede la presenza dell’attrice Anna Carbotti, della danzatrice Chiara Perrone, di un coro di donne composto da Nicla Russo,Maria Tucci, Andrea Gongeanu e Miriana Moschetti e della musicista Elisabetta Fusillo (nella foto), che suona contemporaneamente pianoforte e percussioni.
La giovane performer, già in passato impegnata in altre opere di Tamborrino, fa interagire la tastiera con i pezzi di un’officina ritmica montata alle proprie spalle, che a volte percuote con le bacchette altre direttamente col dorso della mani, accuratamente incerottate per evitare pericolose contusioni. «Questa combinazione sonora - spiega Tamborrino - è un’ulteriore evoluzione della ricerca timbrica che conduco da anni e che nell’incontro con la poetica di Testori persegue possibilità espressive in linea con quell’urgenza e necessità comunicativa cui tutta l’arte deve aspirare: parlare alla gente di cose umane».
Tra le voci più originali della scena musicale contemporanea, Giovanni Tamborrino ha sempre avuto un rapporto «critico» con la tradizione melodrammatica, che ha superato con l’«opera senza canto», forma di teatro musicale che, rifacendosi all’antica tragedia greca e alla lezione di Carmelo Bene, recupera l’uso drammatico della voce naturale all’interno di un originale sistema timbrico. Le sue creazioni sono, infatti, il risultato di unafusione del teatro musicale con quello di prosa. Ma il prodotto non è né teatro di prosa con musica e nemmeno teatro musicale in prosa. È piuttosto un «terzo teatro» che indaga l’aspetto fonetico della parola e del testo con l’intento di sviluppare una materialità vocale archetipica derivante timbricamente da oggetti d’uso comune. Una ricerca che Tamborrino ha potuto condurre scegliendo di vivere la propria esistenza umana e artistica a Laterza, lacittà dov’è nato e vissuto, e in quel territorio delle Gravine, luogo dell’assenza, dove abita l’indifferenza di cui si nutrono le sperimentazioni e le riflessioni del compositore.
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