"Aveva 80 anni quando lo scorso 20 gennaio si è spento, nella città di Bologna. Il direttore d'orchestra Claudio Abbado (nella foto) è stato un artista appassionato e si è fatto conoscere come uomo schietto, di poche parole, ma diretto e sempre in prima linea nella difesa delle sue idee e nelle sue battaglie. Su tutte quella per una musica libera e per tutti e quella per una natura silenziosa da rispettare, ma anche quella per la sua Milano meno grigia, da cui la celebre richiesta nel 2009 all'allora sindaco Letizia Moratti di un cachet “verde” fatto di 90mila alberi piantumati per tornare ad esibirsi alla Scala. Ad Abbado, che non a caso amava definirsi un "giardiniere", la giornalista del Corriere della Sera Giuseppina Manin ha dedicato un libro in occasione del primo anniversario della morte. "Nel giardino della musica" (edito Guanda) ripercorre i tratti della personalità del maestro scomparso, del suo impegno civile e della sua immensa passione per la musica e per la cultura.
Si ricorda il suo primo incontro con Claudio Abbado?
«Certamente. La prima volta che l'ho incontrato di persona è stato a Ferrara a fine anni '80, quando Claudio aveva fondato Ferrara Musica, creando un lega,e artico stabile per sue orchestre di giovani, prima la Chamber Orchestra of Europe e poi la Mahler Chamber Orchestra.»
Ne abbiamo letto sui giornali e magari l'abbiamo visto a teatro e all'opera; ma com'era da vicino e nel privato il maestro Abbado?
«Era una persona molto schiva e riservata, capace però di guizzi di humor e di entusiasmi "da ragazzo". Pur essendo uno dei primi direttori al mondo, sapeva mantenere una freschezza e una curiosità verso il mondo - non solo della musica - abbastanza sorprendenti.»
Com'è nata l'idea di dedicargli un libro?
«Dopo la sua morte ho pensato che sarebbe stato bello raccogliere il senso di tante lunghe frequentazioni, dei numerosi incontri umani e professionali. Un modo di rendergli omaggio e farne conoscere anche agli altri aspetti meno consueti.»
Nel libro leggiamo dell'illuminazione, per il piccolo Claudio, della prima volta a teatro per un concerto. Aveva solo 7 anni.
Quel primo concerto fu per il bambino Claudio determinante. I "Nocturnes" di Debussy ascoltati alla Scala lo incantarono a tal punto che, tornato a casa, quella sera stessa scrisse sul suo diario: "Un giorno ricreerò anch'io quella magia".»
Il libro raccoglie molti aneddoti della vita di Claudio, fin da quando era bambino, appunto; com'è avvenuta la fase di documentazione?
«Molti di quegli episodi me li aveva raccontati lui stesso nel corso del tempo, altri invece li ho riportati da interviste di altri colleghi.»
Musica e natura; in che modo per Abbado erano parte di un binomio indissolubile?
«La natura è stata l'altra grande passione del maestro Abbado. Che appena poteva andava a riprendere energie nel suo amato giardino in Sardegna, vicino ad Alghero, o tra le montagne dell'Engadina. La salvaguardia del patrimonio naturalistico per lui equivaleva alla salvaguardia della bellezza. I rumori e i silenzi della natura erano per lui fonte di ispirazione, oltre che stimolo alla concentrazione. Spesso durante le passeggiate nel verde "ripassava" a memoria le partiture che stava studiando.»
Nel libro si parla anche del rapporto di Claudio con la sua città, Milano, la stessa alla quale volle regalare degli alberi perché troppo grigia e inquinata.
«Con Milano c'è stato un rapporto conflittuale, nel tempo. Il suo addio alla Scala non è stato scevro da amarezze e polemiche. Di Milano non gli piaceva una certa mentalità imbarbarita dal consumismo, volta solo al profitto, lontana dalla cultura e dal rispetto dell'ambiente. Però l'affetto per la sua città non è mai venuto meno. Tanto da chiedere, come per il suo ritorno alla Scala, un cachet "in natura", qui 90 mila, che avrebbero compensato in parte le colate di cemento ed aiutato i milanesi a respirare meglio.»
Uomo schivo e privato, che rapporto aveva con i suoi appassionati fans?
«Non era certo un divo, il maestro Abbado. Certi entusiasmi sopra le righe lo imbarazzavano. Però con alcuni spettatori fedelissimi, molti facenti parte di quel club specialissimi che si chiama "Abbadiani itineranti" ha avuto un legame di simpatia e di affetto sinceri.
Oggi, a un anno di distanza dalla sua morte, che cosa le piacerebbe ricordare di lui?
«A mio parere quello che resta il suo insegnamento più importante è "ascoltarsi l'un l'altro". Oggi è più che mai necessario, e non solo per la musica.»
«Certamente. La prima volta che l'ho incontrato di persona è stato a Ferrara a fine anni '80, quando Claudio aveva fondato Ferrara Musica, creando un lega,e artico stabile per sue orchestre di giovani, prima la Chamber Orchestra of Europe e poi la Mahler Chamber Orchestra.»
Ne abbiamo letto sui giornali e magari l'abbiamo visto a teatro e all'opera; ma com'era da vicino e nel privato il maestro Abbado?
«Era una persona molto schiva e riservata, capace però di guizzi di humor e di entusiasmi "da ragazzo". Pur essendo uno dei primi direttori al mondo, sapeva mantenere una freschezza e una curiosità verso il mondo - non solo della musica - abbastanza sorprendenti.»
Com'è nata l'idea di dedicargli un libro?
«Dopo la sua morte ho pensato che sarebbe stato bello raccogliere il senso di tante lunghe frequentazioni, dei numerosi incontri umani e professionali. Un modo di rendergli omaggio e farne conoscere anche agli altri aspetti meno consueti.»
Nel libro leggiamo dell'illuminazione, per il piccolo Claudio, della prima volta a teatro per un concerto. Aveva solo 7 anni.
Quel primo concerto fu per il bambino Claudio determinante. I "Nocturnes" di Debussy ascoltati alla Scala lo incantarono a tal punto che, tornato a casa, quella sera stessa scrisse sul suo diario: "Un giorno ricreerò anch'io quella magia".»
Il libro raccoglie molti aneddoti della vita di Claudio, fin da quando era bambino, appunto; com'è avvenuta la fase di documentazione?
«Molti di quegli episodi me li aveva raccontati lui stesso nel corso del tempo, altri invece li ho riportati da interviste di altri colleghi.»
Musica e natura; in che modo per Abbado erano parte di un binomio indissolubile?
«La natura è stata l'altra grande passione del maestro Abbado. Che appena poteva andava a riprendere energie nel suo amato giardino in Sardegna, vicino ad Alghero, o tra le montagne dell'Engadina. La salvaguardia del patrimonio naturalistico per lui equivaleva alla salvaguardia della bellezza. I rumori e i silenzi della natura erano per lui fonte di ispirazione, oltre che stimolo alla concentrazione. Spesso durante le passeggiate nel verde "ripassava" a memoria le partiture che stava studiando.»
Nel libro si parla anche del rapporto di Claudio con la sua città, Milano, la stessa alla quale volle regalare degli alberi perché troppo grigia e inquinata.
«Con Milano c'è stato un rapporto conflittuale, nel tempo. Il suo addio alla Scala non è stato scevro da amarezze e polemiche. Di Milano non gli piaceva una certa mentalità imbarbarita dal consumismo, volta solo al profitto, lontana dalla cultura e dal rispetto dell'ambiente. Però l'affetto per la sua città non è mai venuto meno. Tanto da chiedere, come per il suo ritorno alla Scala, un cachet "in natura", qui 90 mila, che avrebbero compensato in parte le colate di cemento ed aiutato i milanesi a respirare meglio.»
Uomo schivo e privato, che rapporto aveva con i suoi appassionati fans?
«Non era certo un divo, il maestro Abbado. Certi entusiasmi sopra le righe lo imbarazzavano. Però con alcuni spettatori fedelissimi, molti facenti parte di quel club specialissimi che si chiama "Abbadiani itineranti" ha avuto un legame di simpatia e di affetto sinceri.
Oggi, a un anno di distanza dalla sua morte, che cosa le piacerebbe ricordare di lui?
«A mio parere quello che resta il suo insegnamento più importante è "ascoltarsi l'un l'altro". Oggi è più che mai necessario, e non solo per la musica.»
* Fonte : IO DONNA /settimanale del Corriere della Sera di ieri
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