mercoledì 21 ottobre 2015

"Sviatoslav Richter e Mozart" di Corrado Grandis


"Neuhaus osservò come Richter studiava, in particolare la Sonata in Fa maggiore K.280: egli si torturava, letteralmente, in un momento preciso dell'opera di Mozart, ovvero una semplice scala, ma che in ogni modo costituiva per lui, per Richter e dunque per Mozart, un momento ben preciso, sensibile, della Sonata. Neuhaus si diede un'unica spiegazione possibile, ovvero: Richter creava la "sua tecnica" quasi sempre in modo nuovo, come fosse la prima volta, in modo non disgiunto dall'assieme, finalizzata (nel particolare si trova l'"universale"). La sua geniale creatività stava dunque nel mettere in concreto le sue azioni nell'ambito di una = percezione "fenomenologica" dell'arte. Ogni momento costituisce un problema da risolvere, e questi aspetti tecnici sono infiniti quanto vasta è la musica (ci avvisa Neuhaus). Penso così, e in questo senso mi riferisco anche al post sul suprematismo (Richter paragona l'intangibilità di Mozart alla impenetrabilità del mistero divino), che la cosiddetta "chiave" per Mozart costituisse,  per prima cosa, nel suo voler dare un preciso contesto, un senso logico di una linea, di una "semplice frase", timbro, sonorità e quant'altro ma, sottolineato, all'interno di un mosaico fatto di colori, rilievi diversi che confluiscono nell'"assieme" di un'opera compiuta: come il puntinismo in pittura, il colore e le sfumature del quadro si definiscono distanziandosi da esso, ma lo stesso è il risultato di un assieme di punti di colore diverso accostati.

Difficile in Mozart, in quanto apparentemente scarno nella scrittura, quando invece profondo e viscerale laddove procura sgomento e tutti i sentimenti umani possibili. Studiandolo, Richter non era quasi mai del tutto soddisfatto: sapeva cosa c'era dietro e quali mezzi usare (mezzo-pedale con sordina incluso) ma non riusciva a far emergere un "quadro totale", come diceva il suo Maestro, sufficientemente vero, emozionalmente convincente del pensiero mozartiano? Non si trattava forse della raggiunta = riviviscenza, ovvero l'equivalente massimo di appartenenza totale/introiezione ed espressività (emozionale) dell'opera?
(Quei principii teatrali del metodo Stanislavskij che - secondo me - Richter applicava forse inconsciamente)

In secondo luogo, forse per Richter quell'illusione - di cui parla Malevič - poteva, in qualche modo e per ignoti motivi, incunearsi inaspettatamente nel momento della resa dei conti: avvicinarsi e credere di aver capito era una illusione nel momento stesso che la percezione era, a suo giudizio, dissimulata rispetto all'origine intenzione (ma questo non riguarda solo Mozart, e i motivi potevano essere anche estranei all'esecuzione stessa).

Perché Mozart è difficile?
"A mio parere, l'aspetto "debole" che certa critica ravvedeva nel Mozart richteriano, era l'aversi sottratto a certi vezzi (da vecchia scuola, tradizionali), agl'aspetti angioleschi o da teatro dei pupi; non aver improvvisato codette o cadenze come pure gli abbellimenti (aufführungspraxis!); usato un tocco non sempre levigato o scorrevole, ritmicamente discontinuo, puntato, con piccoli ritardi, "alla barocca", oppure quelle sonorità a "tinta pastello" o addirittura da clavicordo, con esagerati staccati e acciaccature, appoggiature....etc. erano riconosciuti da alcuni come elementi "raccomandabili e tipicizzanti" del compositore salisburghese giovane o maturo che fosse..
Con i suoi potenziali artistici e tecnici trascendentali, per Richter ogni registro usato del pianoforte diventava un punto o una figura, luce o buio, caldo o freddo, tutto il possibile, tutte le emozioni: auditive, visive, olfattive, tattili. Capisco che per Richter, Mozart era inanzitutto il dramma sul pianoforte, nonché la catarsi delle sofferenze del bambino (assai interessante il libro di Norbert Elias: Mozart. Sociologia di un genio) e dell'adulto, l'opera teatrale coi suoi specifici ruoli, dunque enigmatica e immaginifica, nascosta tra le maglie di una partitura a tratti scoperta a volte criptata o in bassorilievo, dunque una scrittura-mosaico solo di apparente semplicità ed incompleta, se vogliamo, di fatto intangibile - in certi punti quasi sospesi, sottaciuti - altre volte certo sfuggente, capricciosa o quanto meno insidiosa nei ruoli da caratterizzare: la geniale scrittura pianistica mozartiana! 
In questo senso si, penso che la semplicità del bambino possa essere l'unico paragone possibile: c'è in nuce un mondo fatto di molteplici aspetti di cui l'adulto non ne è a conoscenza, o non ricorda più. Emergono dei "segni" così stranianti che di questi molti vanno quasi decifrati e ricomposti, fanno parte di un complesso "mondo interiore" ed inafferrabile, pur se "essenzialmente" espresso. Forse per Richter voleva dire ritornare un po' il bambino, per capirlo da pari e superarne i gli aspetti nascosti...Forse anche perché nella musica...
"l'essenziale (..) è un non so che d'inafferrabile e d'ineffabile" che "rafforza in noi la convinzione che, ecco, la cosa più importante del mondo è proprio quella che non si può dire"! (JANKÉLÉVITCH).

L'affinità per Haydn era altra cosa, ed è un altro capitolo, seppur vicino ma, detto tra parentesi, non ci dobbiamo fidare troppo degli scritti rimasti, al riguardo dell'opinione che Richter riservava per Mozart: persone a lui vicine ebbero modo di sentire dalle loro orecchie dei giudizi su Mozart ben più alti e amorevoli, e non a caso suonò i suoi Concerti con Barshai, Myung-Wun Chung e Mazur proprio nei suoi ultimi concerti con orchestra.
Mozart, per Richter, fu come dire, il disincanto, dunque irresistibilmente liberatorio, quasi fosse una magica sceneggiatura non scevra da coup de théâtre, per diventare negl'anni sempre più profondamente umano e raccontato: come fosse quel nonno che arguiva il proprio nipotino su lontani, ma vividi e sognanti ricordi, leggende ed attutite verità.
Richter ha scolpito dunque il proprio marmo, come fosse Michelangelo: "Non ha l'ottimo artista alcun concetto, Ch'un marmo solo in sé non circonscriva, Col suo superchio, e solo a quello arriva, La man che ubbidisce all'intelletto...". 
A suo modo, scolpendo il suo cubico marmo Richter ha rivelato un altro drammatico e a volte straniante volto di Mozart: gli ascoltatori più ricettivi, attenti e sensibili ne furono (ne sono) ammaliati, stupiti. Commossi, all'inverosimile, e grati ad ogni ascolto. Miracolosamente le sue registrazioni conservano queste emozioni, tuttora più che mai.
Era ed è la saggezza: SVIATOSLAV RICHTER."



                                                                                                                   Corrado Grandis
                                                                                                       (http://sviatoslavrichter.blogspot.it/)

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