
Va subito detto che l’Achille in Sciro del “dimenticato” Domenico Sarro si è rivelato al primo ascolto, almeno in tempi moderni dopo un colpevole oblio di 170 anni, una piacevolissima sorpresa. L'omonimo libretto del grande Metastasio era già stato musicato una volta: l’anno prima a Vienna dal compositore veneziano Antonio Caldara. Ispirata da pura fantasia l’opera metastasiana che si volge interamente all’interno della reggia di Licomede nell’isola di Sciro, racconta i tormenti di Achille, l’eroe dell’antica Grecia, che per sfuggire al triste destino di guerriero, viene obbligato dal padre a rifugiarsi, travestito da donna, nell’isola di Sciro. Ed è proprio in quest’isola, mentre sboccia l’amore tra l’eroe e la principessa Deidamia, che Achille viene riconosciuto dall’astuto Ulisse, nonostante il travestimento, ed invitato a guidare gli eserciti nella guerra contro Troia. Una storia che si sviluppa fra sentimenti privati e gloria militare con il classico lieto fine dell’opera seria tardo barocca.
A Martina Franca l’allestimento all’interno del bellissimo Palazzo Ducale è firmato da Davide Livermore su scene di Santi Centineo e costumi dello stesso Centineo e Fabio Ceresa. La direzione musicale è affidata a Federico Maria Sardelli (in foto), specialista del Barocco italiano (tra i migliori direttori vivaldiani in circolazione), alla guida dell’ottima Orchestra Internazionale d’Italia. Interpreti: Marcello Nardis (Licomede), Gabriella Martellacci (Achille), Maria Laura Martorana (Deidamia), Francisco Ruben Brito (Ulisse), Massimilano Arizzi (Teagene), Eufemia Tufano (Nearco), Dolores Carlucci (Arcade). Il Coro Slovacco di Bratislava è preparato dal M° Pavol Procházka.
Si era detto alla vigilia dell’esecuzione che le peculiarità più intriganti dell’Achille in Sciro di Sarro (del quale gli stessi concittadini tranesi hanno poca memoria, se si eccettuano una strada e una meritoria associazione a lui intitolate: troppo poco davvero!) fossero i grandi recitativi accompagnati dei protagonisti e l’inserimento di importanti parti corali.
Onestamente, debbo dire, che dei recitativi accompagnati, già questa mattina ho perso un po’ il ricordo, mentre i pur smaglianti interventi corali dell’eccellente Coro di Bratislava sono stati francamente meno corposi di quelli che mi aspettavo, prima di leggere il libretto. L’opera che ha dunque soprattutto nei recitativi e nelle lunghe arie con il da capo, che si succedono con intrigante continuità, i suoi punti di forza si fa seguire con estremo interesse. La musica di Sarro risente indubbiamente di quella a lui precedente. E non esiterei ad individuare, oltre che nel suo Maestro e zio, Francesco Durante, anche in Vivaldi, Caldara ed Haendel, alcuni dei modelli ispiratori. Le lunghe e davvero raffinate, per la maggior parte almeno, arie che si sono succedute nei tre atti dell’opera (per una durata che ha sfiorato le 3 ore e venti di musica) si son fatte apprezzare anche grazie alla superba cura nella concertazione offerta dal bravissimo Federico Maria Sardelli, capace di padroneggiare perfettamente le sottili dinamiche della partitura e di insinuare - impresa non da poco - nella “moderna” Orchestra Internazionale d’Italia sublime leggerezza e urgenza ritmica, tipiche degli ensemble barocchi più aggiornati. Tra i cantanti di un cast ben assortito, spiccava l’eccellente vocalità e presenza scenica di Maria Laura Martorana (nel difficilissimo ruolo di Deidamia), che ho personalmente trovato assai maturata rispetto all’incerta “Proserpine” paisielliana del debutto martinese (2003); credibile in scena e vocalmente sicura nel ruolo di Achille anche Gabriella Martellacci. Entrambe godono nell’opera di Sarro di alcune pagine di assoluto pregio musicale, oltre che virtuosistico. Di discreto livello le prove di Marcello Nardis (Licomede), Ruben Brito (Ulisse), Eufemia Tufano (Nearco) e Dolores Carlucci (Arcade). Non particolarmente brillante invece, a fronte – va detto - di una tessitura anch'essa di ardua e, a tratti, mostruosa agilità nel registro acuto, la prova del sopranista Massimilano Arizzi (Teagene) in quello che fu proprio nel 1737 al San Carlo il ruolo del celebre castrato Mariano Niccolini, detto il Marianino.
Cosa dire della regia di Davide Livermore, in tandem con il fido scenografo e costumista Santi Centineo? Sposta con naturalezza l’azione scenica dalla mitologia greca originaria agli anni Trenta del Novecento, ma soprattutto con pochi mezzi scenici reali a disposizione: una piattaforma-palco in pendenza, collocata su fluorescenti tubolari “marini” e un divertente gioco virtuale di linee geometriche, disegni di navi, figure guerresche, attraverso un proiettore di luci laser puntato sulle addormentate finestre del Palazzo Ducale. Ebbene, Livermore e Centineo (insieme a Ceresa per i costumi) con così poco, riescono a costruire una regia di minimale, essenziale efficacia narrativa; e dove il cantante-regista torinese si fa talora prender la mano, come spesso gli capita anche in altre ben più provocatorie regie di questa (penso a quella insuperata data a Bari del Barbiere di Siviglia di Rossini, in "salsa" almodovariana), e mette sul più bello i personaggi dell'opera a ballare…
Qualche timido “buuu” e rari fischiettini (in verità più di sbarazzina approvazione che d'immeritata contestazione) son venuti fuori alla fine per Livermore, mentre applausi scroscianti hanno salutato le prove degli interpreti, Martorana e Sardelli in testa. Si replica solo sabato alla stessa ora, mentre domenica prossima, sempre a Martina Franca, c’è già febbrile attesa per la Salomé di Richard Strauss nella praticamente sconosciuta versione in lingua francese. Da non perdere.
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