venerdì 12 ottobre 2007

"Variazioni sui colori del cielo" di Putignano e Sbisà in scena al Piccinni di Bari


Rivivere attraverso nuove opere d’arte l’immane tragedia della Shoah per mantenerne intatta la Memoria e soprattutto trasmetterne il senso alle giovani generazioni in modo che essa mai e poi mai possa ripetersi, è compito fondamentale, direi necessario, per una società che voglia seriamente considerarsi civile e democratica.
In occasione della ricorrenza dei sessant’anni della liberazione di Mathausen dai campi di concentramento e dagli orrori nazisti, l’Ensemble «Project3» di Salisburgo, diretto da Albert Prommegger, ha commissionato un lavoro al compositore leccese Biagio Putignano, che si è avvalso della collaborazione del giornalista e critico musicale Ugo Sbisà, autore dei testi. La prima esecuzione mondiale di "Variazioni sui colori del cielo" si è tenuta a Salisburgo nel maggio del 2006, con la regia dello stesso Prommegger.
Costruita su vari interventi musicali, alcuni dei quali precedentemente composti, che si intersecano in differenti possibili combinazioni, l’azione musicale viene alternata da brevi testi recitati. Il concetto di variazione segue il cambiamento del colore del cielo nell’arco di una giornata e il percorso musicale attraverso tale variazione cromatica descrive gli stati d’animo di chi ha vissuto la tragedia dei campi di sterminio di Mathausen. Il colore, quindi, come scorrere del tempo, con la metafora che la luce è il simbolo della liberazione.
Il testo, realizzato in blocchi in ognuno dei quali, in prima persona, vengono raccontate emozioni e speranze, è inteso come una preghiera intrisa di profonda spiritualità, e porta lo spettatore verso una costante immedesimazione con le emozioni, le immagini, gli stati d’animo di chi ha vissuto quella tragedia.
Parole e musica cercano così di tracciare, come in una metafora, i colori del giorno associati a quei tragici eventi, passando dalla luce del giorno al buio della notte, che rappresenta anche il buio della ragione, per poi tornare alla speranza espressa dalle prime luci dell’alba.
Lo spettacolo della durata di un’ora e venti (senza intervallo), è stato prodotto dal Tetro Astragali di Lecce e allestito ieri sera al teatro Piccinni dalla Fondazione Petruzzelli. A prescindere dalla lodevolissima finalità dell’operazione, l’impressione è che i laceranti, spettrali lacerti e frammenti “musicali” di Biagio Putignano, che qui sceglie quale archetipo ispiratore niente meno che il celebre “Quatour pour la fin du temps” di Messiaen, non sempre sappiano adeguatamente relazionarsi con gli eccellenti testi di Ugo Sbisà (splendidamente riletti per l’occasione da un ispirato attore di riconosciuta e toccante "vocalità" qual è Alessandro Haber). Avrebbe giovato, secondo me, che i due lavorassero più a stretto contatto nell’elaborazione del lavoro. Cosa che, almeno per quanto gli stessi autori hanno riferito nell’incontro di mercoledì sera a Casa Giannini, non è praticamente mai accaduta. Considerando che si tratta di un “work in progress” - a Bari c’erano infatti delle novità rispetto alla premiere salisburghese e a quella data successivamente Lecce – mi permetto di suggerire in una delle prossime esecuzioni, di far interagire direttamente testi e musica.
Il tutto potrebbe così davvero trasformarsi in una sorta di melologo, che a dispetto della statica espressività descrittiva di una scena spoglia e desolante animata (si fa per dire) da attori-zombi e da luci apprezzabili, potrebbe offrire esiti drammaturgici ancor più sorprendenti e coinvolgenti.
Manca cioè alle “Variazioni sui colori del cielo” la complice sinergia di testi e musica. E questo procedere su percorsi paralleli, a mio sommesso parere, limita e a tratti appesantisce non poco un lavoro che potrebbe altrimenti risultare assai più interessante.
Una parola d’elogio incondizionato la meritano di sicuro i bravi esecutori delle musiche di Putignano: il Quatuor Abîme, composto dal clarinettista Mauro Altamura, dal violinista Marco Misciagna, dal violoncellista Nicola Fiorino e dal pianista Giuseppe Bini. Alla fine pubblico troppo tiepidino con autori e protagonisti in scena. Meritavano senz'altro di più.

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