sabato 16 giugno 2012

Eric Clapton: una mano lenta al servizio della grande musica

Parlare di Eric Clapton è, per chi tratteggia di pop, un obbligo "istituzionale": chiunque deve confrontarsi con la montagna Slowhand e la sua ingombrante esistenza....si tratta, non so bene se suo malgrado o meno, di uno dei fenomeni gossipari "involontari" più grossi dello showbiz, conservando egli un notevole autocontrollo, almeno da quanto si può ricavare dai suoi atteggiamenti esteriori, mai sopra le righe.
Chiaro è che farò-da subito-un riferimento alla sua storia con la showgirl Lory del Santo e alla tragica, tragicissima fine del loro piccolo figlio Conor, caduto nel vuoto del cielo di New York per una esiziale fatalità, cui il padre dedicò la struggentissima ballade Tears in Heaven....ma egli non è solo questo; è molto, molto di più...è il più grande chitarrista dei nostri giorni, è il creatore di capolavori come Cocaine e Layla, anche se, secondo la autorevolissima rivista americana Rolling Stones sarebbe solo il secondo nella lista dei chitarristi best ever.
Ma la nascita dei Cream, il più grande gruppo di virtuosi del rock classico che si sia mai visto, è da annoverare tra i suoi masterpieces più riusciti. Sunshine of Your Love e White Room sono due perle della sua convivenza lì con gli altri del gruppo.
Di lì collaborazioni ed amicizie importanti a gò gò: suona con Frank Zappa, altro mito delle sei corde amplificate e conosce George Harrison - quest'ultimo, che ve lo descrivo a fare?-fino all' immenso Pete Townshend che gli è stato sempre vicino.
Schivo, schivissimo per natura, timido oltre l'inverosimile, Eric fatica a cantare, ma non per quello è famoso, fa sweepare la chitarra come pochi avendo sempre il pregio di suonarla come se servisse a tavola; rigido, essenziale, mano sempre gentile sulle corde fa scivolare la sua musica come nessuno e sia arpeggi, quando passa alla acustica unplagged, che accordi non sono davvero un mistero per lui.
La tragedia del figlioletto segna, però, per lui una importante svolta: abbandona il rock per il porto sicuro del blues, che già lo aveva accolto benevolo durante una sua prima e seconda crisi artistica rocckettara, sempre ispirato ed abilmente suggerito da Townshend.
Oggi naviga a vista, come tutti noi, ma forse anche meglio, collaborando a destra e manca, anche con artisti italiani: memorabili una sua serie di performances affianco a Pino Daniele, profeta dello Spaghetti alla Pummarola Blues, proprio lo scorso anno.
Da un nume ci si può aspettare di più? Forse no....nel caso di sue ulteriori graditissime epifanie, ve ne darò tosto nota e notizia.
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