sabato 31 maggio 2008

L'"Elia" di Quarto e Tamborrino più oratorio che opera lirica


Un musicalissimo “artigiano del suono” e un fine poeta si misurano felicemente con il divino e con la sacralità. Così, in sintesi, si potrebbe fotografare il progetto dell’Elia, breve oratorio contemporaneo messo in scena giovedì e venerdi scorso rispettivamente nelle Cattedrali di Bari e Bitonto, dalla Fondazione Petruzzelli e dedicato alla Beata Elia di San Clemente. I testi e la drammaturgia di Enzo Quarto sonorizzati dalla musica di Giovanni Tamborrino (nella foto) hanno infatti reso appieno il doloroso misticismo e la grande semplicità di questa “Santa bambina” di nome Teodora, e cioè “dono di Dio”, che nacque a Bari nella città vecchia il 17 gennaio 1901. La piccola Dora sogna alla vigilia della sua Prima comunione Santa Teresa di Gesù Bambino che la chiama già Suor Elia, predicendole che sarebbe morta giovane come lei. Ella entra così nel Carmelo di Via De Rossi l’8 aprile 1920; dopo appena sette anni, tra sofferenze inenarrabili, a causa di una meningite, muore ad appena 26 anni il 25 dicembre a mezzogiorno, guardando il crocifisso durante il suono delle campane dell’Angelus. Di fronte ad una vicenda di così commovente e, almeno a tratti, lacerante religiosità, la musica di Tamborrino permea di magiche, naturalistiche suggestioni timbriche, vibranti emozioni sonore, il bel testo poetico di Enzo Quarto, che con il compositore laertino, aveva già lavorato qualche anno fa all’opera l’“Anello di Egnazia”. Nello splendido scenario medievale della Cattedrale di Bari, risuonano riverberati ad arte strumenti e voci: l’arpa di Linda Contini, il pianoforte di Elisabetta Fusillo, campane e Gamelan di Carlo Varlaro, Live electronics di Giuseppe Dante Tamborrino. Non manca la danza, non mancano le voci con le straordinarie Faraualla e l’intensa Chiara Muti, qui oltre che brava a recitare messa anche alla prova con il canto, per una volta, melodico dello “sperimentatore” Tamborrino. Un lavoro dunque di sincera spiritualità, risolto con disincantata semplicità e tenera poesia; questo (anche) grazie alla sensibilissima quanto esperta regia di Teresa Ludovico. Alla fine il convincente successo tributato dal pubblico ha indubbiamente suggellato una serata significativa nella pur ricca stagione della Fondazione Petruzzelli.

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