venerdì 24 agosto 2012

Giovanni Sollima: un grande ritrattista...Peccato per la "cornice"


Fine estate ( ma sarà vero?) a Monopoli...In una serata dal respiro angusto, mi avvio verso la meta della mia fatica, il Chiostro di San Martino.

E che mi trovo innanzi? Una coda disciplinata all'italiana, ossia un assembramento, piuttosto indecente, avvinghiante un banchetto, laddove due ragazze(una di queste una musicista di talento,la bravissima chitarrista Alessandra Luisi), si sforzavano di dare un senso alla loro attività improvvisata di addette al botteghino, respingendo i flutti di un aspirante pubblico, sempre più ansante  anche per l'aria scarsa che si aveva la residua forza di respirare.
Decido di sorvolare sull'esito parzialmente contumelioso della vicenda d'ingresso e mi
introduco, grazie alla gentilezza direttoriale, sponda sempre diamantina del nostro essere, all'interno, quasi all'ultimo momento confidando nella civiltà altrui.
Cosa evidentemente irrealizzabile a queste latitudini e così, sempre più sopraffatto da una moltitudo da girone dantesco, ai cui margini solerti volenterosi  delimitavano i bordi fornendo poche sedie aggiuntive, in qualità di pagante col sopraffiato, a causa dell'umido umore della cornice e frustrato dall'insipida ironia di alcuni astanti "spiritosi", mi appropinquo sfinendomi sull'improvviso quanto raccogliticcio rostro.
Ma la musica fa davvero miracoli e...puff...si assiste ad una delle più superbe jam session classiche degli ultimi anni. Il virtuosismo parossistico del Maestro Sollima raggiunge vertici che scuotono anche i sensibilissimi padiglioni dei ronzanti pipistrelli impazziti, che fan da corona alle circonvolute del Maestro che incanta, ammalia, avvolge, tira a sé con una capacità decisamente insuperata. La scaletta amabile snocciola, d'un fiato, la propria teoria: da Satie a De Ruvo, dallo stesso Sollima ai Nirvana. Il tutto condito da una simapticissima smemoratezza che lo ha sposato al suo entusiastico uditorio, che, grato, lo ha quasi acclamato in trionfo.
Esaltante è la capacità sollimaniana di far vibrare il suo violoncello con qualsiasi aggeggio gli capiti a tiro e servendosi di qualsivoglia altra parte corporea che, per assurdo, non sia la mano.
Una meraviglia che ripaga dei mille smadonnamenti, piovuti come strali di Giove sul Fato mio che mi spinse in cotal luogo.

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