lunedì 27 gennaio 2014

"Abbado, il segreto della mano destra" di Riccardo Chailly *


"I primi ricordi che mi si sono affacciati alla mente in questi giorni di lutto per Claudio Abbado risalgono al periodo in cui sono stato suo assistente alla Scala: lui giovane Direttore Musicale, io ancora un ragazzo. Il suo camerino era sempre aperto per tutti, come lui stesso era sempre aperto al dialogo e al confronto musicale. Ci rivedo percorrere insieme con gli occhi le partiture delle Sinfonie di Brahms a cui aggiungeva notazioni sempre importanti e puntuali da riportare in sede di concertazione. Questo lavoro di scavo nella partitura è stato parte integrante della mia formazione e, sedimentato e trasformato dall’esperienza personale, è rimasto nelle mie interpretazioni. 

Ricordo perfettamente la telefonata con cui Claudio mi raggiunse a Palermo durante le prove de L’Angelo di fuoco per chiedermi di partire immediatamente per Milano e dirigere da lì a pochi giorni I masnadieri di Verdi, che avevo già presentato al Festival di Montepulciano, chiamato da Hans Werner Henze. Era la stagione del Bicentenario del Teatro e da quella telefonata ebbero inizio la mia esperienza da direttore alla Scala e un nuovo livello di amicizia e collaborazione tra noi. Abbado è stato il frutto di una grande scuola direttoriale: in lui confluivano l’insegnamento di Antonino Votto a Milano e il perfezionamento con Hans Swarowsky a Vienna. Vorrei ricordare soprattutto la tecnica della mano destra, che è l’autentico motore dell’esecuzione: la limpidezza assoluta della scansione ritmica, la chiarezza dell’impulso facevano della sua bacchetta il prolungamento diretto del pensiero. Questa tecnica, una cultura vastissima e una volontà incontrastabile gli permettevano di essere da un lato interprete insuperabile del melodramma italiano, in particolare di autori come Rossini e Verdi di cui ha firmato interpretazioni ineguagliate, e dall’altro di coltivare con entusiasmo l’apertura a repertori insoliti e innovativi. Ricordo alla Scala il Boris Godunov di Musorgskij e soprattutto il Wozzeck di Berg in un’edizione che resta senza confronti. Nessuno come lui ci ha fatto sentire come naturale e necessario l’approdo alla musica contemporanea, parte di un processo di rinnovamento complessivo del panorama culturale milanese di cui Claudio, che non ha mai vissuto la musica come un’arte separata, è stato tra i promotori più fervidi. Infine gli sono particolarmente grato di avermi dischiuso l’universo musicale di Gustav Mahler. Credo che alcune letture, tra cui la Nona Sinfonia a Lucerna e il «Canto della terra» con i Berliner Philharmoniker, segnino un autentico spartiacque che divide l’interpretazione mahleriana in «prima» e «dopo» Abbado. Durante l’ultimo omaggio che gli abbiamo rivolto a Bologna ho provato una commozione profonda, che era dolore per la perdita di un maestro ed amico ma anche consapevolezza che l’Italia ha perduto con lui un punto di riferimento assoluto. L’ondata di emozione che ha percorso tutto il mondo in questi giorni, e l’Italia e Milano in particolare, testimonia non solo dell’affetto per un artista privo di atteggiamenti o barriere caratteriali, ma anche di quanto il suo percorso artistico e civile abbia lasciato un segno nella memoria e nelle coscienze. Questo ci conforta e ci sprona a guardare con più fiducia al futuro, come ha sempre fatto Claudio."
                                                                                                                                                     Riccardo Chailly
*( Fonte: Corriere della sera, 27 gennaio 2014)

2 commenti:

  1. A questo punto da profano assoluto mi chiedo se un mancino può dirigere un'orchestra.

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  2. Ma che discorsi sono? certo che può dirigere...ahahahaha

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