sabato 21 luglio 2012

Il più grande


Trentacinque album in carriera, quattordici raccolte, poco più di cento milioni di copie vendute in tutto il mondo, due Grammies vinti, ma credo che, una volta che vi citerò il nome, non avrete più dubbi circa il mil giudizio espresso nel titolo. Il so nome è Barry White. Della sua vita da romanzo, gli aneddoti si sprecano: mi pregerei citarne uno, legato alla sua stupefacente mutazione vocale.
Talento precocissimo, capace di convincere i sempre attenti scouts di oltreoceano, allo scoccar dei suoi dodici anni, ad incidere un singolo, appena pochi mesi dopo fece rizzare i capelli della sua mamma quando strillò con il vocione che tutti conosciamo richiamando la stessa dopo un suo rimprovero. Saltiamo la fase delinquenziale in una gang che lo portò dritto in cella ed i suoi notevoli successi degli anni sessanta, come producer e quasi mai come singer, e pertanto un poco fuori target ed entriamo in epoca Motown, la storica factory della disco, in cui, ancora dietro le quinte, cercò di lanciare un trio alternativo alle mitiche Supremes.
Il cambio di producer e di casa discografica, il cui chief si impose di fare di Barry un grande interprete, segna il mutamento definitivo e lo sviluppo definitivo.
Arrivarono e sgorgarono così: Never, Never gonna Give Up, You're The First, The Last, My Everything, Let The Music Play, ecc...
La immagine unica del pop nero si spense per i suoi cronici problemi di salute, che lo perseguitarono tutta una vita, all'inizio difficile e niente affatto spensierata, poi felice al servizio di tanti artisti ed, alla fine, per sua grazia e merito, al servizio del nostro imperituro e diuturno piacere.

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