lunedì 7 aprile 2014

"Un prezioso quanto insolito compact disc del grande Juan Diego Florez con Roberto Abbado" di Maurizio Dania


Il titolo di questo CD potrebbe indurre a pensare che Jdf e la Decca abbiano studiato un prodotto esclusivamente commerciale. Invece si tratta di un lavoro serio, studiato, pensato in un periodo della carriera del grande tenore peruviano entrato ormai nella storia dell'Opera lirica in virtù di precedenti proposte tipiche del cantante contraltino. 
Come è accaduto per altri fuoriclasse, pochi per la verità, Florez, raggiunti i 40 anni, si sta inventando un nuovo tipo di vocalità che se lo allontana dal "Barbiere di Siviglia", per citare un titolo, opera in cui ha dato tutto ciò che aveva ponendolo ai vertici dell'interpretazione del Rossini più amato, lo avvicina ad interpretazioni di opere che tra qualche mese, certo non fra qualche anno, lo sospingeranno ancora di più nell'Olimpo dei Grandi di tutti i tempi. 

Ovviamente c'è chi critica negativamente questa scelta e non apprezza lo sforzo di Florez, maturato e che offre un lavoro di alta qualità. Ciò che leggerete oltre a ciò che sto scrivendo non mi trova d'accordo e questo non perchè mi leghi a Jdf un rapporto di amicizia o di lavoro, ma perchè occorre sempre avere rispetto dell'impegno di un cantante che quando deciderà di dedicarsi alla sua meravigliosa famiglia e al suo Paese, (musicalmente), verrà rimpianto per decenni. Andrea Pedrotti scrive, mi permetta, superficialmente,  "che a Florez manca in questo CD un lavoro di alta qualità, in cui è assente la ricerca filologica. Affermare che non esista o non emerga "una riflessione, un rapporto fra le arie proposte, oltretutto ordinate senza seguire un percorso cronologico, di senso, o di autore. A riprova di questo, il fatto che le due arie tratte da La Dame blanche di Boieldieu vengano inserite rispettivamente in apertura e quasi in chiusura, senza un’apparente spiegazione, nemmeno puramente estetica", mi fa sorgere il dubbio che sia iniziato il gioco tipico di chi o ascolta male, o come si diceva di Mila, scherzando, con orecchie cieche. Capaci i critici italiani ad esaltare Kaufmann in Wagner, bravissimo, ma nasaleggiante e a volte lontano dai Maestri tedeschi ma incapaci di riconoscere e di dividere il grano dal lolio. Dopo un poco, si comincia a non essere più in sintonia con il canto e la serietà professionale di colui che veniva esaltato. Accadde alla Callas, alla Caballè, a Pavarotti a molti altri.  Anche a Claudio Abbado.  Dispiace leggere che  "quel che manca è proprio un lavoro d’interpretazione che colga la peculiarità di ogni brano, che scorre quasi senza distinzione, in un unico flusso monotono per pathos, sentimento e accento. Chi non conoscesse - prosegue il signor Pedrotti - il repertorio faticherebbe a distinguere un autore dall’altro, un’opera dall’altra, una situazione dall’altra. Dispiace che si sia persa l’occasione di una più approfondita analisi o introspezione psicologica di personaggi così differenti, tutti espressioni di una tradizione vocale tipicamente francese e, tuttavia, non priva di influenze sulla storia del canto anche al di là dei gallici confini". 
Io non critico la critica in quanto abbia poca considerazione di Pedrotti, ma perchè pare più la proposizione di una concezione  dell'opera francese che riporta alle antiche proposte che non tengono conto delle novità dell'ascolto moderno, dico degli ultimi vent'anni, quando la questione del gusto si confonde con quella della tecnica che nel caso di Florez è esemplare. Difficile concedere l'aurea del mito ad un artista vivente. Il canto del peruviano è migliorabile, certo, siamo solo agli inizi, ma la classe, la personalità, la sua intelligenza è unica, personale, caratterizzata dalle peculiari bellezze ed eccezionalità della voce. Peculiarità quella della voce, di Florez che in certi casi eguagliano il suo idolo Kraus e che in altri superano Blake. Proprio nei brani cantati in questo disco. Avrei preferito citazioni di Vanzo, addirittura di Alagna, e altri che hanno cantato il repertorio presentato in questo CD con grande successo. Viene trattato male anche Abbado, il direttore d'orchestra, e con tutto il rispetto, se Pedrotti costruisce un assunto ben scritto, inserendolo in una cornice pregiata, manca a mio parere della obiettività necessaria per distinguersi tra chi ha un preconcetto ben sostenuto semiologicamente, ma la cui filosofia è distruttrice, aprioristicamente, come sarebbe scorretto parlare di islam come di una “religione totalizzante e guerriera” non già perché l’islam non possa essere anche questo, ma perché certamente l’islam – come qualunque altra religione mondiale, nello specifico monoteistica o monolatrica – non è solo questo. 

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