Se c’è un’attrice che si può
dire autenticamente internazionale quella è Greta Scacchi (nella foto). Dal suo debutto nel
1982 con il film tedesco “La moglie... gli uccelli”, ha lavorato con
tanti registi di diverse nazionalità con periodiche incursioni anche a
Hollywood dove ha girato, tra gli altri, “I protagonisti” di Robert Altman,
proiettato stamattina al Teatro Petruzzelli prima della sua Masterclass, la
terza del Bif&st, moderata dal critico Franco Montini. L’incontro ha preso
il via proprio sulla sua esperienza con il grande regista americano: “All’epoca
di ‘I protagonisti’, nel 1992, la carriera hollywoodiana di Altman era in
declino, non faceva film da qualche anno ma lui era comunque molto amato dagli
attori. Finché una piccola produzione indipendente non gli propose
l’adattamento di un libro di Michael Tolkin che ironizzava proprio sul sistema
degli studios. Quando mi fu proposta la parte, io inizialmente non volevo fare
il film perché temevo di restare intrappolata nello stereotipo della bella
bionda che incarna l’immaginario maschile. Poi, però, lui ebbe l’idea di
ribaltare le convenzioni, di fare l’opposto di quello che ci si sarebbe
aspettato. Per dire: nella scena del funerale del mio compagno mi fece vestire
di bianco anziché di nero, non mi chiese di piangere, anzi.”
“Lui coinvolgeva gli attori
nella parte creativa, ci diceva che potevamo chiamarlo in qualsiasi momento.
Così io ogni tanto andavo a trovarlo nel suo ufficio, lui alle 10 del mattino si
faceva una enorme canna e poi diventata spiritoso, rilasciando il suo umore
creativo.”
“Sempre nel suo ufficio, una
volta accadde che stavo telefonando all’Ambasciata d’Islanda chiedendo di
incontrare qualcuno da cui imitare l’accento, dal momento che avrei dovuto
interpretare il ruolo di una donna islandese. Lui mistrappò la cornetta dalle
mani, riattaccò e mi disse che non voleva alcun accento strano, voleva il mio
accento perché sosteneva che il mondo è fatto di cose che non necessariamente
rispettano le regole.”
Anche James Ivory, che la
diresse in “Calore e polvere” e che lanciò di fatto la sua carriera, si
affidava molto agli attori: “Iniziò le riprese senza aver fatto prima le prove,
la scena si faceva direttamente sul set. Ma Ivory stesso faceva metà del lavoro
dell’attore semplicemente
scegliendolo. D’altronde i dialoghi di Ruth Prawer Jhabvala
erano già perfetti. La stessa cosa l’ho ritrovata recentemente con Gianni
Amelio che mi ha diretto in “La tenerezza” (il film di apertura del Bi&st
2017) e che non mi ha detto praticamente nulla su quello che avrei dovuto fare,
mi ha detto semplicemente ‘fai tu’.” Il film di Amelio segna il ritorno al
cinema dell’attrice che da tempo si dedica quasi esclusivamente al teatro. “Ci
tenevo molto all’inizio della mia carriera, ho avuto molto successo troppo
velocemente e sentivo l’esigenza di fare teatro per crescere, per sperimentare.
Invece ora che faccio tanto teatro, rimpiango il cinema!”
Sulla sua tecnica di
recitazione, Greta Scacchi ammette di non credere nel “Metodo” di Lee
Strasberg, così caro a tanti attori: “ritengo sia limitato, può tornare utile
in alcune circostanze ma non basta, ci vogliono tanti metodi, tanti quante sono
le diverse circostanze che si possono creare su un set. Per dirla con una battuta.
mi sento più Marcello Mastroianni che Robert De Niro.”
È vero che ha rifiutato il ruolo
di “Basic Instinct” andato poi a Sharon Stone? “In effetti, sono più famosa per
i film che non ho fatto che per quelli che ho fatto, e la chiudo qui.”
Tanto cinema internazionale ma
anche frequenti incursioni nel cinema italiano: “Ho sempre amato girare film in
Italia, mi piace l’atmosfera, mi piace l’affetto che esprimono le persone,
ricordo in particolare l’esperienza di ‘Good Morning Babilonia’ dei fratelli
Taviani con maestranze che annoveravano tre generazioni di elettricisti, gente
che si capiva al volo, per telepatia.”
D’altronde in Italia, più
precisamente a Milano, Greta Scacchi è nata, anche se l’ha lasciata all’età di
tre anni per l’Inghilterra dalla quale si è poi spostata in Australia. “Però
mio padre non hai mai voluto che parlassi in italiano, l’inglese è stata da
subito la mia lingua madre e questo mi ha molto aiutato nella mia carriera.
Tuttavia ho sempre avuto l’italiano nelle orecchie, e sentendo i miei genitori
da piccola ho capito come fosse davvero la lingua più bella per litigare!”
Nessun commento:
Posta un commento