lunedì 3 febbraio 2014

Pierfrancesco Pinelli...Il Salvatore della Lirica in Italia? *


"Silenzio stampa, telefonate e mail filtrate dalla segreteria di Santa Croce in Gerusalemme, sede della direzione Spettacolo dal vivo del ministero dei beni e delle attività culturali (Mibact): sono giorni di clausura per Pierfrancesco Pinelli (nella foto), manager del settore energie (Enel e Erg) nominato a sorpresa commissario straordinario per la lirica con grandi proteste di quanti, a partire dal Movimento Cinque Stelle, avrebbero voluto  al suo posto un professionista proveniente dal mondo della musica.  

 La scelta di Pinelli, fortemente voluto dal ministro dei beni e delle attività culturali Massimo Bray, risponde all’esigenza espressa nel decreto valore dell’agosto scorso: sanare la situazione economica delle fondazioni lirico-sinfoniche, la maggior parte delle quali versa in uno stato di endemico squilibrio patrimoniale. Invece di continuare a commissariare singolarmente ente per ente, come è avvenuto negli ultimi anni, il governo Letta ha preso una decisione coraggiosa: una ristrutturazione del debito, in tutto simile a quella che si impone alle società di diritto privato quando i conti sono in rosso. E che passa anche da razionalizzazioni dolorose (in primis quella del personale tecnico e amministrativo, sino alla misura del 50%), forse non nelle corde di un manager di estrazione "culturale".     Anche al netto dei tagli del personale, il compito di Pinelli non è dei più semplici: alla luce dei piani di risanamento formulati dalle fondazioni lirico-sinfoniche, dovrà decidere come stanziare finanziamenti fino a un massimo di trent’anni, da concedere valendosi di un fondo di rotazione appositamente istituito e che per il 2014 si avvale di una dotazione di 75 milioni di euro. Sul piatto ci sono poi altri 25 milioni, un anticipo utile a sbloccare quelle situazioni (ce n’è più di una) in cui la mera gestione ordinaria è diventata impossibile.   Quello delle fondazioni lirico-sinfoniche è uno dei tanti processi di privatizzazione intrapresi negli anni 90  e mai del tutto compiuti. Il primo governo Prodi era in carica da poco più di un mese allorché, con il decreto legislativo n.367 del 29 giugno 1996, si decise che gli enti lirici statali dovevano trasformarsi in fondazioni di diritto privato. A fronte della forma giuridica,  la loro natura è però rimasta squisitamente pubblicistica: in capo alle autorità di governo è tuttora la vigilanza delle attività e la formulazione dello schema da seguire per la scrittura delle scritture contabili e di bilancio, alla legge è demandata la disciplina di Cda, presidenza, soprintendenze e collegio dei revisori, mentre la gestione finanziaria è sottoposta alla Corte dei conti. Neppure gli interventi legislativi del 2007 e del 2010 sono serviti a garantire un più marcato profilo d’impresa: si pensi che nel rilievo della Corte dei conti del 2010 il rosso complessivo delle quattordici fondazioni, la maggior parte in perdita, ammontava a 29,5 milioni di euro, con i debiti 2,5 volte superiori ai crediti.   Eppure non sarebbe corretto parlare di “gestione allegra”. La realtà è che i contratti collettivi di lavoro pesano terribilmente sui bilanci e che un’opera lirica costa come un film e non ha altra forma di fruizione che lo spettacolo dal vivo. È una falena, che illumina quelle pochissime notti che le è concesso di vivere. Per coprire i suoi costi di produzione andrebbe immaginato un percorso di redditività/rientro alternativo al poco praticabile aumento delle repliche. Ma questo secondo sfruttamento, al di là dei rari passaggi in televisione e in dvd e in qualche pioneristica incursione nei circuiti cinematografici, non esiste.   Di fronte a questa situazione, gli operatori di settore ripetono come un mantra due concetti: il modello della riforma privatistica è sbagliato e le risorse del Fondo unico per lo spettacolo (Fus) sono insufficienti. Nelle intenzioni della legge del 1996, le nuove entità dovevano in effetti ispirarsi ai teatri del nord Europa, dove esiste un soprintendente che è sia direttore artistico che manager. Se però, come avviene in Italia, le nomine a capo delle fondazioni seguono le regole dello spoil system, si finisce per avere figure spesso poco capaci sul piano della contrattazione con maestri, coro, musicisti e maestranze. Il caso-scuola è quello dell’orchestrale che chiede un compenso aggiuntivo per suonare uno strumento leggermente diverso da quello in cui è diplomato. Quando la controparte non viene dal settore, abbocca. E i costi si moltiplicano.  I vecchi enti lirici ante 1996 erano invece retti da un soprintendente (anche allora di nomina politica), un direttore amministrativo e un direttore artistico. Tre figure che potevano disimpegnarsi al meglio nei propri ambiti di competenza. Con i conflitti tra qualità e produttività che connotano qualsiasi organizzazione, ma che nel caso della lirica si è pensato di risolvere mettendo il pallino in mano a un dirigente che non sa da che parte stare.   Venendo infine alle risorse del Fus, esse si sono indubbiamente ridotte. Ma la spending review ha portato a una contrazione delle risorse del 4,7 per cento, 2013 su 2012, e alla musica classica sono stati assegnati 238 milioni di euro (contro i 249 dell’anno precedente). A partire dal 2009, la ripartizione del Fondo unico sono le seguenti: enti lirici 47,5%, attività cinematografiche 18,5%, attività musicali 13,7%, attività di danza 2,3%, attività circense 1,5%, altro 0,2%. Dunque le fondazioni continuano ad avere assicurata poco meno della metà della risorsa complessiva e ben il 77% di ciò che viene destinato alla musica. Su base regionale, queste quote producono una riduzione ai minimi termini delle sovvenzioni disponibili per le altre realtà che fanno attività concertistica e lirica sul territorio o promozione all’estero. In Lombardia, la Scala (che però ha una storia e un nome ben diverso dagli altri visto che con Armani e la Ferrari è fra i brand italiani più noti al mondo) assorbe 26 milioni di euro su 32 assegnati, in Toscana il Maggio Fiorentino 14 su 20, nel Lazio il Teatro dell’Opera 19 e Santa Cecilia 9 su un totale di 32, in Campania il San Carlo 12 su 14, in Sicilia il Massimo 15 su 18.  Il decreto valore ha sì introdotto meccanismi premianti per le fondazioni che hanno i numeri in ordine, ma resta una domanda: tutte le stagioni musicali che sopravvivono con stanziamenti pari alle frazioni decimali di quanto dato alla lirica sono figlie di un dio minore?"   

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