lunedì 4 febbraio 2013

"Il godibile Grand Voyage dei Quadro Nuevo al Teatro Forma di Bari" di Giuseppe Marsico



"Martedì scorso al teatro Forma si è esibito un quartetto di giovani musicisti tedeschi, i “Quadro Nuevo” (nella foto), che ha dato vita ad uno spettacolo sonoro genuinamente godibile e divertente.
Nonostante la loro giovane età, come ha voluto subito precisare lo stesso presidente di "Nel Gioco del Jazz" Donato Romita, nella sua puntuale presentazione, il successo arride da almeno dieci anni a questo ensemble con sede a Monaco, soprattutto nella sua terra d’origine e nei paesi del Nord Europa, ma anche in Italia dove si esibiscono prevalentemente in Toscana.

Il quartetto è composto da Mulo Francel al sax tenore, soprano e clarinetto, D.D. Lowka al contrabbasso e percussioni, Andreas Hinterseher, al bandoneon e fisarmonica, ed Evelyn Huber all’arpa e allo xilophone.
Diciamo subito che  il repertorio del gruppo è interessante quanto variegato, perché costituito essenzialmente da riletture ed interpretazioni originali di generi diversi come le musiche popolari napoletane come Luna rossa  e le songs di cantanti e cantautori come Mina o Renato Carosone, eseguite come omaggio al pubblico italiano; altri pezzi forti sono alcune interpretazioni di brani del tango di Astor Piazzolla (Libertango su tutti, richiesto come bis) e musiche latino americane come la rumba, ma soprattutto la vera peculiarità di questo gruppo è la pretesa di  rielaborare le essenze musicali di Paesi e continenti diversi; dalle atmosfere nordiche a quelle orientali, essi cercano di presentare ogni brano come un vero e proprio viaggio, con la scommessa, a volte riuscita perfettamente, a volte un po’ meno, di sedurre e coinvolgere lo spettatore: non a caso il titolo della serata era Grand Voyage.
Questa è l’impressione che si è avuta fin dal primo brano, ossia una rilettura intensa e quasi notturna di “Parole, parole, parole”: un primo viaggio che come tutti gli altri dura un bel po’,  perché ogni arrangiamento presenta notevoli variazioni sul tema, sia dal punto di vista dell’ambiente sonoro, sia a volte, del ritmo e dell’intensità che vengono improvvisamente portati ad alti livelli con accelerazioni improvvise soprattutto del sax che spesso e volentieri fa da leader, seguito poi dalla fisarmonica, piuttosto che dalle percussioni, o dalle incursioni molto gradevoli dell’arpa.
E’ ovvio che per raggiungere l’effetto di “viaggio” occorre intessere una trama fitta, costituita da un dialogo tra gli strumenti nel quale non ci possono essere troppe battute a vuoto né fughe solitarie, ma un equilibrio fatto spesso di delicatezza nei lenti e di frenesia quasi orgiastica nelle rielaborazioni del tango con il contrabbasso usato come percussione, o di “Tu vuoi fa l’americano”, nei quali gli strumenti sanno a memoria come fermarsi appena in tempo;
In alcuni casi l’effetto finale è un po’ di stordimento quasi che il brano sia stato strapazzato come avviene in “Krep”, un brano composto nella città crimea di Pachsarai, nella quale forti sono gli echi della cultura musicale tartara: qui il sassofono è molto invadente fin da subito e intreccia un duetto quasi assordante con lo xilophone.
L’ensamble ha viaggiato molto, come testimonia “La canzone della strada”, o il brano composto ad Antiochia per la colonna sonora di un film là girato, nel quale ci dice il sassofonista, si è cercato di rendere l’armonia tra le etnie diverse musulmana, cristiana ed ebrea.
Originali sono anche i brani del ciclo dedicato alla civiltà Maya “Le città delle spezie”, del quale abbiamo sentito “Paprika” e “Cacao”: nella prima il bandoneon fa la parte del leone ed è seguito da un bell’assolo virtuosistico dell’arpa, il secondo è fondato ritmicamente sulle percussioni con il sax come protagonista.
A proposito di virtuosismo, ogni strumento ha avuto la possibilità di stupire, più che altro nei brani veloci nei quali l’economia tra gli strumenti era meno sorvegliata. 
E’ proprio in questi brani originali composti dal quartetto quando sono in viaggio che è più evidente lo sforzo di dare la sensazione di un flusso che transita in modo quasi onirico in una dimensione spazio temporale volutamente non definita nei momenti soft e che anche nei tratti più vigorosi e “vertiginosi” non si risolve mai in un circolo chiuso ma rimane quasi sospesa a mezz’aria, lasciando però a volte un po’ interdetti.
Una piccola chicca è invece il pezzo intitolato “Piccola principessa” nel quale il mandolino pizzicato da Mulo Francel ordisce la trama di struggente delicatezza del brano, e per la prima volta il contrabbasso  non è pizzicato ma suonato con l’arco, e la fisarmonica svolge un tema concluso quasi d’incanto dallo xilophone."

Giuseppe Marsico

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