martedì 17 settembre 2013

Una prima esecuzione assoluta di Fabio Vacchi nel prossimo concerto dell'Orchestra del Petruzzelli



Sabato 21 settembre alle 21.00 al Petruzzelli è in cartellone un nuovo appuntamento della Stagione Sinfonica 2013. 
Sul podio il maestro Renato Rivolta che condurrà l’Orchestra del Teatro.
In programma Alborada del gracioso di Maurice Ravel, la prima esecuzione assoluta del Triplo Concerto di Fabio Vacchi, solisti Giampaolo Pretto (flauto), Manuel Zurria (flauto) e Patrizia Radici (arpa) e la Sinfonia n. 3 in fa maggiore op. 90 di Johannes Brahms.

Biglietti in vendita al Botteghino del Teatro Petruzzelli e on line su www.bookingshow.it, informazioni: 080.975.28.40.


Vacchi: Triplo Concerto per due flauti, arpa, percussioni e archi
Regolarmente eseguito nelle principali sedi concertistiche mondiali, come la Scala, la Philarmonie di Berlino, il Musikverein di Vienna, il Festival di Salisburgo, Vacchi ha collaborato con registi come Ermanno Olmi, vincendo il David di Donatello per la colonna sonora del film Il mestiere delle armi, e Patrice Chéreau. In gennaio alla Salle Pleyel di Parigi si concluderà il ciclo di una trentina di esecuzioni del melologo “Soudaine dans la forêt profonde”, da un romanzo di Amos Oz, il cui CD, pubblicato a cura del Ministère de l’éducation nationale, è stato distribuito nelle scuole francesi. Da un altro romanzo di Amos Oz ha tratto l’opera “Lo stesso mare”, andata in scena al Teatro Petruzzelli nel 2011. Sta terminando un’opera per il Maggio Fiorentino e un brano sinfonico per il Gewndhaus di Lipsia, nonché un pezzo pianistico per le celebrazioni scarlattiane a Madrid. E’ in partenza per un ciclo di conferenze, legate a sue esecuzioni, presso l’Università di Montréal.
"Il Triplo Concerto è il primo lavoro di Fabio Vacchi in qualità di composer in residence della Fondazione Petruzzelli. Già nel titolo è presente un richiamo alla grande tradizione classica, che si manifesta anche nella scelta di contrapporre, in un metaforico certamen, i tre solisti e l’orchestra, proprio come in un concerto grosso dell’età di Bach e Händel. Alla maestria dei due flautisti solisti è affidata l’alternanza di strumenti di diversa intonazione ed estensione: ora il flauto in do, ora quello in sol, o quello basso in do, ora l’ottavino. La strumentazione disegna una trama coloristica molto intricata, ma con una cura estrema del dettaglio. Ne consegue una percezione quasi prismatica dell’insieme e, allo stesso tempo, di ogni singola tessera. Fin dai suoi primi passi nella composizione, Fabio Vacchi ha assunto come vessillo l'attenzione alla materia, ovvero al suono e al corpo destinatario del suono. La sua musica mira cioè a catturare l’attenzione dell’ascoltatore mobilitandone i sensi attraverso l’abile manipolazione di parametri psicoacustici. In una recentissima intervista di Leonetta Bentivoglio sul quotidiano La Repubblica il compositore afferma: «Sono convinto che l’arte debba saper muovere percezioni sensoriali e anche affettive, e non solo compiacersi della trasgressione in sé». La forma musicale, secondo Vacchi, deve «comunicare ragioni in movimento e instaurare quel sistema di attesa-sorpresa che da sempre, anche inconsapevolmente, tanti musicisti hanno praticato». E aggiunge, parafrasando Goethe:«solo una musica capace di mettere in moto le nostre percezioni sensoriali e affettive, può aspirare alla bellezza».Molti compositori contemporanei, al contrario, hanno prodotto musica che rivendica il suo valore in base a un arido sistema teorico che ignora le esigenze del comune apparato sensoriale tradendo, così, la bellezza «in nome di rigide astrazioni ideologiche». Un tradimento non meno profondo, secondo lui, che il «cercare i favori del pubblico con musiche passatiste e banalmente accattivanti». Da queste poche pennellate si scorge già il profilo dell’outsider, dell’artista libero, al di fuori dalle classificazioni consuetudinarie. Molti critici e affermati musicologi hanno detto e scritto di lui senza inserirlo in –ismi del Novecento e del Duemila musicali e rilevandone invece i tratti stilistici peculiari. Enzo Restagno parla della piacevolezza della sua musica sottolineando come non sia da intendere come mera lusinga sensoriale, bensì come frutto di un rigore e di un pensiero analitico derivante dalla tradizione del secolo scorso. Del resto, secondo il critico torinese, passato il momento della ricerca, l’evoluzione della musica d’oggi sta andando verso una fase di «ritrovamento». Giorgio Pestelli evidenzia i procedimenti di «ondulazione», immediatamente riconoscibili nei lavori di Vacchi. In effetti, i suoi suoni non sono mai fermi, ma hanno un momento di ascoltabilità massima che va poi a sfumare, in un continuo gioco di dissolvenze incrociate e di stimolazione della percezione uditiva. Scrive a proposito il compositore: «I suoni non sono oggetti che possiamo sottomettere alle nostre intenzioni: hanno una vita propria che va custodita, amata, cercata, esplorata». Infine, un altro tratto comunemente rilevato, ad esempio da Jean- Jacques Nattiez, che lo considera emblema di una via di bellezza e arte per il XXI secolo, è il suo essere un compositore «sirenico», essendo l’incanto uno dei suoi tratti distintivi. Questo è realizzato talvolta mediante procedimenti che derivano, come ha notato Scaldaferri, da un profondo studio della musica etnica, anche se, come osserva sempre Restagno, il folclorismo di Vacchi, in modo non dissimile da molti romantici, non è mai didascalico né descrittivo, bensì frutto di un'accensione quasi onirica e comunque tutta interiore". Come ha scritto Peter Korfmacher sulla Lepiziger Volkszeitung a proposito dell'esecuzione al Gewandhaus di Tagebuch, incentrato sui fatti dell'11 settembre 2001,"Vacchi non descrive alcun attentato, alcuna guerra. La sua impostazione metafisica è senz’altro confrontabile con quella di Gustav Mahler: materiale molto differente viene inserito in un grande insieme in modo che si aprano significati non esprimibili con la parola, ma che emozionalmente sono senz’altro percepibili". (estratto dal libretto di sala del Concerto, note a cura di Chiara Rizzo)


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