venerdì 16 ottobre 2015

Lo "Stabat Mater" diretto da Michele Mariotti con l'Orchestra del Comunale di Bologna in tournèe a Torino e Bergamo.



Nuovo appuntamento con Gioachino Rossini per Michele Mariotti (nella foto) con l'Orchestra e il Coro (direttore Andrea Faidutti) del Teatro Comunale di Bologna, del quale Mariotti è Direttore Musicale.
Dopo il primo appuntamento lo scorso 22 agosto al Rossini Opera Festival di Pesaro, prossime date a Torino (martedì 20 ottobre, inaugurazione della stagione di Lingotto Musica), e a Bergamo (mercoledì 21 ottobre, Stagione Lirica del Teatro Donizetti): il programma rimane invariato con l'ouverture e idivertissement dal “Guillaume Tell”, quindi lo “Stabat Mater” che nel 1842 fu eseguito dapprima a Parigi, poi in prima italiana a Bologna sotto la guida di Gaetano Donizetti.
Solisti vocali in queste date autunnali saranno Yolanda Auyanet (soprano), Veronica Simenoni (mezzosoprano), Antonino Siragusa (tenore) e Michele Pertusi (basso).

Ho impaginato il programma di questo concerto, 5 anni dopo aver diretto lo Stabat Mater di Rossini – ricorda Mariotti – a Pesaro e a Firenze. A metà giugno, però, ho ricevuto un'inattesa chiamata da Riccardo Chailly per sostituirlo alla Gewandhaus di Lipsia in un programma in cui figurava anche loStabat di Rossini. Ho così deciso di riprendere il brano come fosse la prima volta, imponendomi una lettura non condizionata dalle mie abitudini interpretative. Questo nuovo studio ha avuto in me effetti stupefacenti: mi è sembrato di scoprire questa musica intrisa di struggente dolore, moderna perché laica e religiosa al tempo stesso; ho riscoperto in essa silenzi “assordanti”, ho sentito la necessità di ripulire l'opera da ogni pesantezza e ridondante eroicità. Ho scoperto poi, preso per mano da Rossini, un nuovo modo di vivere il rapporto con la morte; un modo onesto verso la propria dimensione umana in rapporto con Dio, ma allo stesso tempo critico e rabbioso verso quel Dio che non è stato in grado di ripagare l'uomo della totale fiducia ripostagli, generando un senso di sconforto, delusione e anche di rabbia. Proprio in questo rapporto paritetico con Dio sta, secondo me, la modernità dello Stabat Mater di Rossini. Nella fuga finale, quasi in stile bachiano (sarà stato l'ambiente di Lipsia a suggerirmi questo accostamento?), i soprani insieme ai tenori del coro intonano, come fosse un grido disperato, la parola "sempiterna" per mezzo di un intervallo di ottava dalla sonorità agghiacciante, che infonde un senso di spietata fatalità contro cui l'uomo è assolutamente inerme. Mirabili sono poi la sommessa ed estatica preghiera del tenore, la vellutata e confortante aria del mezzosoprano – quasi fosse un contraltare agli interventi solistici di soprano e basso assai più drammatici e ieratici – fino al surreale quartetto, una sorta di danza sensuale che forse più di ogni altro numero musicale incarna il vero spirito rossiniano: un misto di ironia, disincanto e drammatica consapevolezza della vita”.

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