domenica 20 maggio 2012

"Trionfo di pubblico per la Norma di Bellini in scena al Regio di Torino" di Maurizio Dania

"Quante parole si devono spendere per scrivere sulla Norma di Bellini? Quel lavoro complesso che dovrebbe essere spiegato al pubblico senza lasciarlo ai ricordi delle interpretazioni più che altro legate alle protagoniste che tutti conoscono e che Toscanini cancellò dal cartellone dopo la generale? Non basterebbe un'enciclopedia. Molto semplicemente dovrei ridurre il tutto ad una mera cronaca: dato che i cantanti conosciuti, hanno dato di loro la prova che si attendeva, nulla di meno, nulla di più. Parliamo dello spettacolo: è una ripresa del precedente allestimento, risalente alla stagione 2001/2002. Lo firmano William Orlandi, per le scene ed i costumi, e Alberto Fassino per la regia, ripresa da Vittorio Borrelli. Le luci sono di Andrea Anfossi, mentre il direttore dell’allestimento è Saverio Santoliquido. E’ uno spettacolo tradizionale che ambienta l’azione in una Gallia classica. Ci sono i boschi. Le sacre antiche piante, il tutto proiettato su una tela, illuminata dalla luna; i siparietti che si aprono a destra ed a sinistra lasciano immaginare tutto e vedere molto: la fantasia riveste Norma di romanticismo e di classicismo, secondo tradizione, ma senza risolvere il dilemma. Il tutto lascia indifferente lo spettatore più tradizionalista e delude colui che desidererebbe qualcosa che distinguesse la regia da una scenografia che è poi la messa in scena, sovente o troppo ovvia, o incomprensibile. Tornando alle parole, bastino quelle di Wagner:" In Norma dove il poema raggiunge l'altezza tragica dei Greci antichi, le forme chiuse dell'opera italiana, che al tempo stesso Bellini nobilita ed eleva, danno rilievo al carattere solenne e grandioso dell'insieme: tutte le passioni che vengono così singolarmente trasfigurate dal suo canto, ricevono un fondo maestoso sul quale non vagano incerte, ma si disegnano in un quadro grande e chiaro, che fa pensare a Gluck e a Spontini". E ancora :" ..ammiro in Norma la ricca vena melodica, che unisce la più profonda realtà alla passione intima; grande partitura che parla al cuore, lavoro di un genio". Mariotti a Torino è stato più cauto. Se potessi non essere frainteso ha disegnato una Norma quasi francese; là dove finì la carriera il Rossini della scuola napoletana. Il giovane Maestro italiano è però un grande interprete dell'arte che vuole il concertatore tenere in pugno una partitura difficilissima, coordinare il coro, splendido, dell'amato Fenoglio, mettere a proprio agio le voci, riuscendo comunque in certe occasioni ad essere anche fremente. Ha studiato una linea: si è ritrovato con un materiale canoro da amalgamare non senza sorprese e difficoltà, ha cercato di essere coerente. Credo che abbia dovuto in certi momenti, durante le prove, ripetere i calcoli. Ma se come ho scritto, Toscanini decise di cancellare il titolo dal cartellone, Mariotti riesce a regalare ua serata con momenti di grande partecipazione. Emozionante. Preludio Atto II°. Dimitra Theodossiou ripropone un’interpretazione di Norma che tutti conoscono. Ha i difetti di sempre. E' una professionista che dona sicurezza anche in virtù degli stessi che si odono senza dubbi, là dove te li aspetti apparire evidenti. La voce è piena, ma manca di armonici così che la parte più lirica appare appannata e gli acuti, sostanziosi, sono sempre al limite dell'urlo. Purtroppo non dona emozioni. A cominciare da "Casta Diva", per passare a "In mia man alfin tu sei". Interpretazione professionale. Di livello. Ma non di altissimo livello. Manca quella mezza voce che anche nel finale sarebbe utile se fosse puro, sublime, belcantistico. Il soprano è corretto: svolge con personalità teatrale il suo dovere, è brava nei duetti con Adalgisa, ma gioca in difesa, anche quando Norma richiede l'impiego di una voce agile nei passi virtuosistici. Kate Aldrich, è Adalgisa. Punto e a capo. Nell’accompagnamento di “Sgombra la sacra selva”, Mariotti percorre la sua strada; lei va esattamente per un'altra via. Nessuna ricerca di purezza, di bellezza. Marco Berti è considerato uno dei migliori tenori spinti in circolazione. Al contrario di altri che da lirici, diventano o desiderano provare ad essere spinti, mi pongo la domanda se possa essere più bravo come spinto, o semplicemente come tenore lirico. Nonostante la premessa però non sono pochi i momenti in cui Pollione declama come lo può fare un cantante che non possiede l'accento giusto, anche per rendere bene le frasi più tragiche ed i momenti drammatici. Forza. Non c'è l'accento che vorrebbe la parte tenorile. Donzelli, si legge, cantava in altro modo, Filippeschi fu un grande Pollione, Giacomini e La Scola non furono meno rilevanti. Corelli lo cantò con alterne fortune. Ci provò Domingo, lo fece Pavarotti, ma non erano tenori lirico spinti e se non fosse stato per il timbro, Domingo era decisamente fuori dai giochi, (parlando delle esecuzioni in teatro, perchè la registrazione RCA non è consigliabile). Berti non è neppure lontano parente di Vickers, che spinto lo era poco, ma che accento, che timbro, che colore possedeva la sua voce! “Meco all’altar di Venere” e nel Finale del II° Atto, Marco Berti ci prova. Qualche acuto mi è sembrato sparato, per vedere l'effetto che fa, e francamente proprio il colore e il timbro non mi sono sembrati adatti al ruolo. Giacomo Prestia era Oroveso. Il cast era completato dal Flavio di Gianluca Floris e dalla Clotilde di Rachel Hauge. Trionfo di pubblico, con grandi applausi per tutti i principali protagonisti." MAURIZIO DANIA

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