Quello per Roma speriamo che il buon Woody lo conservi, in quanto, tra sampietrini saltati per aria e producenti voragini iperboliche ( non sfuggiti al compiacente occhio del Maestro americano, che, forse, ne ha fatto motivo ulteriore per trarne colore e folklore tutto italico) sulle strade di Trastevere e improbabili "spettri" narranti la storia ( o meno) e fotocopianti l'ennesimo clichè dell'italiano gesticolante e vociante, molto felliniano da Amarcord, si sviscera una serie di storielle, in cui le citazioni da tali diventano plagi ( l'episodio con Albanese e Scamarcio è lo Sceicco Bianco, riproposto senza che il regista "copione" si copra il volto per la vergogna)...insomma, dopo aver impiastricciato le manine nella farina del cinema nostrano di altri -lontanissimi- tempi, il nostro si ritaglia, la "sua", di scenetta, in cui spiccano -dato che farvi il racconto sarebbe stucchevole quasi quanto averlo visto- due battutine riuscite: una-non cito a memoria ma a spanne- con "dovizia politica" sempre misurata tipica d' oltreoceano, quando si parla delle passionacce ideologiche degli europei, ma fatta con stile molto newyorker dell' upper Eastside e che recita: " odio il comunismo perché non amo condividere il bagno", ovvero, l' altra, quando, a fronte delle lamentele della moglie circa l'abuso di inutile psiconalisi che egli fa, le spara un sintetico quanto efficace: " manda una lettera al dottor Freud e fatti rispedire indietro i soldi".
Divertente risulta essere la gag, nell' episodio recitato da Allen, del cantante sotto la doccia, che, per quanto forzata e tirata all' eccesso, è abbastanza godibile ed ha il merito di tenere su la storia, almeno dal punto di vista del puro divertimento.
Insomma-lo si scrive con rammarico vista la enormità del personaggio-un affresco condito da diversi errori anche tecnici ( come quello, ad es., di far comparire il microfono a giraffa di scena nel campo di ripresa- e che non lo si consideri una "licenza autoriale"-), che avrebbe voluto essere "una cartolina da Roma", ma che sembra, ahimè, una triste galleria di sagome trascinate in basso da un lungo crepuscolo di un grande autore e geniale pittore di caratteri.

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