martedì 24 marzo 2015

Il grande regista italiano Ettore Scola si "confessa" al Bif&est di Bari.


“Esattamente 120 anni fa, nasceva il cinema ad opera dei fratelli Lumière. Come sarebbe stato il XX secolo senza il cinema, e chi sarebbe stato Ettore Scola senza il cinema?” Con questi quesiti, il critico Enrico Magrelli introduce la master class di Ettore Scola al Teatro Petruzzelli di Bari.
Il regista di Una giornata particolare fa un excursus sulla storia della Settima Arte: “Fin da subito si affermarono due filoni ispirativi differenti del modo di fare cinema: da un lato troviamo i Lumière che rappresentavano la realtà, e dall’altro lato c’era Méliès che con Viaggio nella luna ha inaugurato il cinema di fantascienza”. “Il cinema – continua Scola – iniziò tra grandi diffidenze. Gli intellettuali lo accolsero con disinteresse, in Russia Majakovskij affermò che non si trattava di uno spettacolo ma di una concezione di vita”. Ettore Scola risponde, dunque, alle domande iniziali: “Senza il cinema, al pubblico  sarebbe mancata una fonte d’idee, di dubbi e sarebbe stata più vuota tutta l’umanità. Se non avessi fatto il cinema – prosegue il regista – forse avrei fatto il calzolaio o il falegname”.

Ettore Scola ricorda uno dei suoi primi grandi riconoscimenti: “Scrivevo le battute nelle sceneggiature dei film con Totò. Una volta gli lessi un copione, e il principe De Curtis rise. La sua risata fu il mio primo e unico premio Oscar”.
Il regista racconta di aver avuto come modello Steno, “ammirato e stimato come giornalista, caporedattore ed autore di film comici”. “La generazione dei registi di oggi – prosegue Scola – non ha modelli. Come possono i giovani d’oggi amare l’Italia? Ai miei tempi il Paese era uscito dalla guerra e dal fascismo, ed era dunque facile trovare dei colpevoli. Oggi, invece, non c’è un solo colpevole, ma le responsabilità sono diffuse e di tutti”. “Occorre risalire a Berlinguer per trovare qualcuno che ci soddisfa – dichiara Scola e continua – dopo di lui tutti hanno rubato, a qualsiasi zona ideologica essi appartengano”.
Per Ettore Scola “i giovani registi italiani sono all’altezza dei loro predecessori, ma non hanno un orizzonte comune dove spingere il loro sguardo”. “Noi sapevamo dove guardare, sapevamo che dovevamo partecipare. Tra noi non c’era rivalità, ma avevamo la voglia di fare qualcosa per il Paese a cui volevamo bene”.
“Ero uno sceneggiatore prolifico e soddisfatto – ricorda Scola – ed ero contento dei registi che mettevano in scena i miei copioni. Soprattutto Dino Risi (regista de Il sorpasso, ndr) aveva una naturalezza e una grazia nel dirigere, e aveva lo sguardo di un pittore”.
Ettore Scola, presidente del Bifest, esprime il suo apprezzamento per il festival di Bari: “Qui c’è un autentico tesoro: la curiosità dei giovani, i quali hanno voglia di vedere i film e voglia di capire qualcosa in più della realtà. È necessario che il pubblico venga fertilizzato dalla lettura e dalla visione dei film”.
Sempre rivolgendosi ai giovani, il regista li sprona: “Voi avete una grande responsabilità, e avete anche l’energia per porvi dei problemi. Questo Paese – continua Scola – che lo amiate o no, va cambiato, raddrizzato, ha bisogno del vostro aiuto. Cercate di portare la vostra personalità in quello che fate, e metteteci sempre tutto il vostro entusiasmo”.
Il regista campano ricorda i “tempi d’attesa lunghi e noiosi” sui set dei film che ha diretto. In queste occasioni, “Vittorio Gassman scriveva i suoi spettacoli, Jack Lemmon faceva i cruciverba, Marcello Mastroianni era sempre a telefono e Massimo Troisi cantava canzoni tristi”.
“Avevo detto che non avrei più fatto film finchè ci fosse stato Berlusconi” dichiara Ettore Scola che solo, nel 2013, è ritornato dietro la macchina da presa con Che strano chiamarsi Federico, che – precisa –“non è un film, ma più che altro un album, un biglietto per un amico”.
Il regista, che questa sera riceverà il premio Fipresci 90 Platinum Award, conclude la masterclass con una riflessione sul digitale nel cinema: “Si tratta di una rivoluzione che sta cambiando la nostra produzione di pensiero. C’è però il pericolo che con queste nuove conquiste vengano meno le emozioni. Ben venga, dunque, il digitale purché non si rinunci all’ispirazione, ai sentimenti e alle idee”.


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