domenica 8 marzo 2015

"L'Olimpo degli Dei della Musica a Frosinone" di Elena Dandini


"Di  Gioachino Rossini è stato detto tutto e il contrario di tutto per la complessità della sua figura, sospesa tra storia e aneddotica : enfant prodige, ipocondriaco, umorale, collerico, soggetto a crisi depressive, ma anche gioviale, gran gourmet, cuoco raffinato, tombeur de femmes. Il Cigno di Pesaro fu, essenzialmente, il genio musicale che dominò, in Europa, nel primo Ottocento con una produzione operistica  vastissima e di velocissima stesura . Figlio di un’epoca in pieno subbuglio e rinnovamento fu, egli stesso, il primo rinnovatore della forma operistica specie nel genere dell’opera buffa. I suoi successi  gettarono nell’oblio il mondo operistico di Paisiello e di Cimarosa, che egli apprezzava grandemente ; Bellini e Donizetti  crearono un loro stile personale, ma lavorando all’ombra di Rossini e finchè Verdi non si liberò dai suoi “anni di galera”, Rossini non fu sostituito al centro del mondo operistico italiano. Appassionato studioso di Mozart e Haydn, tanto da ricevere dai suoi compagni del Liceo musicale bolognese l’appellativo di tedeschino, comincia a muovere i primi passi teatrali tra il 1808 -1809 a soli diciassette anni.
Ed è proprio l’Ouverture de  La scala di seta, un’opera buffa giovanile, a dare l’incipit al terzo appuntamento musicale della Stagione Classica di Frosinone. L'operina, in un atto, appartiene al gruppo di cinque farse che Rossini scrisse per il Teatro San Moisè di Venezia (le altre sono: L 'inganno felice, Il signor Bruschino, La cambiale di matrimonio e L'occasione fa il ladro). La scala di seta andò in scena il 9 maggio 1812 con discreto successo, ma dopo un limitato numero di repliche e di riprese in teatri minori scomparve totalmente dal repertorio, per essere ripresa soltanto nel secondo Dopoguerra.  L’Ouverture dell'opera, invece, rimase un pezzo molto frequentato del repertorio sinfonico , di breve durata, solo sette minuti. Dopo un inizio, melodicamente pacato, diventa  trascinante, effervescente , nello stile già tipico di Rossini fatto di invenzioni  stilistiche tra cui  ilcrescendo suo inequivocabile marchio riconoscitivo.
Dopo il Cigno di Pesaro,  è la volta di F. J. Haydn e della sua “rivendicazione sindacale” in musica, perché  tale è la sua Sinfonia “Gli addii” (1772) n°45 in fa diesis minore.  Al servizio, come Maestro di Cappella,  del Principe Nicolaus Esterhàzy ,  detto “il Magnifico”, ebbe a disposizione un’ottima orchestra  per l’esecuzione delle sue composizioni sinfoniche, cameristiche,  per l’allestimento di opere italiane, la messa in scena di drammi teatrali e per la musica sacra. Ogni estate il Principe si trasferiva nella sua residenza di  Esterhaza, in Ungheria, un palazzo di 126 stanze , ampi saloni, teatro di corte ed ettari di parco nello stile che richiamava i fasti barocchi di Versailles. Per tutto il periodo del soggiorno gli orchestrali e Haydn restavano a disposizione  del “Magnifico”, quindi lontano dalle loro famiglie. In quell’estate del 1772 il soggiorno estivo si stava protraendo oltremodo, tra la nostalgia ed il malcontento generale.  Così “papà Haydn”, com’era chiamato dai suoi musicisti, trovò la soluzione più elegante ed esplicita per far comprendere al Principe che era l’ora di ritornare a Vienna  e cosa meglio della musica per lanciare un messaggio scritto solo con le note?  Nacque così la Sinfonia degli addii, nella tonalità in fa diesis minore così inusuale per le orecchie esperte  del Principe, tutta permeata nella sua costruzione musicale  di stranezze timbriche e melodiche  atte a trasmettere un senso di sofferenza , riconoscibile  soprattutto nei “singhiozzi” dei violini ( Adagio),  che raggiungerà il suo acme nel finale veloce, intenso, ritmico, dove accade l’impensabile… nell’adagio finale, infatti,  gli strumentisti, ad uno ad uno, iniziando dai fiati,  si congedano dopo un breve “solo” spegnendo la candela del proprio leggio. Così la scena e la sonorità dell’adagio si svuotano lasciando, per ultimi, i due violini (Luigi Tomasini e lo stesso Haydn) quasi al buio. Esterhàzy comprende, finalmente, attraverso questa geniale invenzione musicale del suo Kapell meister , che è tempo di ripartire ordinando l’immediato rientro a casa.  Se c’è stato un genio assoluto ed universale questi  è  W.A. Mozart, una vera divinità nell’olimpo musicale non solo settecentesco. La sua vita breve  ( morì a  35 anni)  fu , però, intensa a partire dai viaggi che compì, fin da bambino, in lungo e largo attraverso l’Europa, per le sue passioni per il gentil sesso, per le sue ribellioni verso il potere dei nobili (famoso il contrasto con il Principe Arcivescovo Colloredo), per la sua affermazione di “libero professionista” della musica svincolato da padroni blasonati, per la sua affiliazione alla Massoneria e per la grande rivoluzione che compì in ambito compositivo di cui lascia ricordo R. Wagner: « Mozart infuse negli strumenti il nostalgico afflato della voce umana per la quale nutriva uno specialissimo amore…».  Come per  tutti i geni assoluti  non esiste una precisa collocazione temporale della musica di Mozart , infatti  fu un inesauribile assimilatore di tutte le mode, gli stili del far musica  del suo secolo e ogni genere venne da lui trasfigurato in una nuova forma che ne rappresentò la sintesi. In lui convivono lo stile “galante” del settecento denominato poi come “classicismo” fino ai pròdromi del “ romanticismo” avvertibili nel sublime Requiem o nel finale così drammatico e teso del “Don Giovanni”.
La Sinfonia n. 41 in Do maggiore K 551 l’ultima composta da Mozart (1788), ultima anche nel programma della serata,  non a caso è conosciuta come Jupiter per il  suo carattere grandioso, divino e permeato da una profonda malinconia antesignana di quella che sarà la caratteristica del Romanticismo.
L’Orchestra Sinfonica del Conservatorio “L. Refice” di  Frosinone, ha dimostrato questa sera di aver raggiunto un  buon grado di maturità sotto la direzione  energica e coinvolgente del M° Giorgio Proietti. Buon successo di pubblico.

Elena Dandini

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