sabato 19 luglio 2014

La Donna serpente, opera fantasmagorica e favolistica di Casella, incanta il pubblico di Martina Franca.


La fantasmagorica follia favolistica della Donna serpente di Alfredo Casella (1932), andata in scena ieri nell'atrio del Palazzo Ducale di Martina Franca, ha incantato tutti (o quasi) gli spettatori presenti. Il sogno costruito da Cesare Vico Ludovici, ispirato al librettista della Turandot, Carlo Gozzi, ha avuto un esito vincente e trascinante sul pubblico.

Un'opera che fa del polistilismo del primo Novecento un dogma assoluto. Si ode serpeggiare lo stile di Stravinskij, ma anche tanto Poulenc e Milhaud, che influenzarono non poco il Maestro italiano in quel di Parigi. Lui, quaranticinquenne in pieno fervore avanguardista, supera soltanto nella piena maturità il forte pregiudizio critico nei confronti del melodramma. Fu infatti il pianoforte il perno centrale della sua vena creativa, ma nel melodramma rivela una rara maestria compositiva nel riportare il tutto ad un "recitar cantando, ad un distillare ricercatezze timbriche, arditezze armoniche e sregolatissimo ritmo teatrale, che trovano nell'immaginario teatrale di Gozzi il contraltare ideale", come ha ben ricordato Albert Triola, direttore artistico e artefice dell'operazione, in continuità positiva con quanto realizzò Rodolfo Celletti negli anni passati.
Ne la "Donna serpente" l'elemento fiabesco convive con la commmedia dell'arte, la "follia organizzata" di ascendenza rossiniana con l'elemento solenne e sacrale così caro al teatro musicale italiano dell'Ottocento.
Dominatore assoluto dell'opera ci è parso Fabio Luisi (nella foto), applauditissimo direttore d'orchestra giunto alla fama internazionale del Metropolitan di New York e della Staatskapelle di Dresda in virtù di una gavetta dura, ma inesorabile, compiuta proprio qui a Martina, dove si è fatto letteralmente le ossa del grande maestro  alla fine degli anni Ottanta.
Le sue taglienti spigolature cromatiche, il suo incedere ritmico nervoso, ma agogicamente sempre lucido ed impeccabile, hanno offerto il giusto pathos drammatico alla Donna serpente. Sembrava di ascoltare unì'opera di Honegger, tipo la Giovanna d'Arco, ed invece era il talentuoso e geniale Casella ad intarsiare musicalmente le trame diaboliche di questa fiaba complessa ma efficace.
Un'opera assolutamente innovativa ed originale che regala sprazzi ballettistici nelle due esemplari pantomime, collocate una per atto (bravissimi i ballerini impegnati). Ottima la prova dell'Orchestra Internazionale d'Italia, come anche del Coro della Filarmonica di stato "Transilvania" di Cluj-Napoca, preparato da Cornel Groza.
Meno bene i cantanti, dove alla vocalità un po' sfocata e dallo scarso volume timbrico della protagonista, la peraltro bella e seducente Zuzana Markova (Miranda), faceva da contraltare il tenore Angelo Villari (Altidor), suo sposo innamorato, buono lo squillo ed efficace il timbro, non altrettanto all'altezza nei passaggi di registro, spesso appannati da un'intonazione piuttosto calante.
Gli altri cantanti della compagnia vocale, rientrano tutti più o meno nella sufficienza, compreso lo scenicamente eccellente Albrigor di Domenico Colaianni. La regia di Arturo Cirillo regala poco o nulla allo spettatore, lasciando nella scena geometrica ma essenziale di tre giganteschi scivoli di Dario Gessati, l'intervento di un disegno luci ben scolpito da Giuseppe Calabrò. Costumi sgargianti e fantasmagorici di Gianluca Falaschi.  Successo ben al di sopra delle previsioni, per i primi quarant'anni del Festival della Valle d'Itria. Si replica il 20 ed il 26 alla stessa ora. Da non perdere.

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